La riforma del mercato del lavoro (in pillole)
La riforma del mercato del lavoro (che è presumibile sarà modificata in alcune sue parti in Parlamento) si propone, nelle intenzioni del governo, di realizzare una maggiore flessibilità e, dunque, una maggiore inclusione. È su quattro punti che l’esecutivo si è concentrato con particolare dedizione: ridistribuire più equamente le tutele dell’impiego, riconducendo nell’alveo di usi propri i margini di flessibilità progressivamente introdotti negli ultimi vent’anni e adeguando la disciplina del licenziamento individuale per alcuni specifici motivi oggettivi delle esigenze dettate dal mutato contesto di riferimento; rendere più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive a contorno; rendere premiante l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili; contrastare usi elusivi di obblighi contributivi e fiscali degli istituti contrattuali esistenti.
Tutto questo, però, non ha impedito che il dialogo fosse incentrato quasi esclusivamente attorno alla questione dell’articolo 18 la cui ristrutturazione non è stata avallata dalla Cgil né ha trovato il sostegno di molti esponenti del Pd, segretario Bersani in testa.
Per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori nulla cambia rispetto all’attuale articolo 18: non sono ammessi e, al di là del numero dei dipendenti, è prevista la condanna del datore di lavoro a reintegrare il lavoratore licenziato e a risarcirlo dei danni retributivi patiti. Per i licenziamenti soggettivi o disciplinari, laddove non venga ravvisata la giusta causa, il giudice stabilisce il reintegro e il risarcimento dei danni retributivi (e il lavoratore, in questa ipotesi, mantiene la facoltà di scegliere al posto della reintegrazione un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità). Ma è sui licenziamenti oggettivi o economici che verte la polemica di questi giorni. Un volta stabilita la ragione oggettiva (ad esempio le difficoltà economiche dell’impresa) il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro disponendo il pagamento in favore del lavoratore di un’indennità risarcitoria. Il timore è che i datori di lavoro possano approfittare della norma simulando una ragione oggettiva che in verità celi una scelta di tipo discriminatorio. Il governo ha assicurato che verranno implementati strumenti che evitino tali abusi e in ogni caso il lavoratore che ritiene valida l’idea di una discriminazione ha la possibilità di provare la colpevolezza del datore. “Al fine di consentire la riduzione dei tempi del processo per quanto concerne le controversie giudiziali in tema di licenziamento – promette l’esecutivo -, si propone, attraverso l’azione di concertazione istituzionale con il ministero della Giustizia, l’introduzione di un rito speciale specificamente dedicato a tali controversie”.
Le disposizioni presentate dal governo non riguardano il settore del lavoro pubblico ed “eventuali adeguamenti saranno demandati a successive fasi di confronto”. (continua)
F. G.
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