Non siamo mica gli americani (sul web)
Solo il 25% dei nostri politici ha un sito internet. Negli altri Paesi sono molti di più. E anche sui social network, luoghi in cui l’interazione con i cittadini dovrebbe risultare più semplice, appena il 21% dei parlamentari italiani fa sentire la propria voce, mentre nel Regno Unito sono il 49% e negli Stati Uniti il 70%. Facebook è in ogni caso la piattaforma più utilizzata (35,6% del campione), ma di almeno il 44,5% dei parlamentari in Rete non vi è traccia.
Ora, detto tra noi: che i politici italiani siano poco avvezzi alle nuove tecnologie non lo scopriamo certo oggi. Ma a fotografare in modo ineccepibile una così evidente lacuna è Sara Bentivegna, professoressa di Comunicazione politica all’Università La Sapienza di Roma, nella sua pubblicazione Parlamento 2.0 (Franco Angeli, 2012). “Credo – spiega Bentivegna a T-Mag – che alla base di questo ritardo ci siano due fattori. Il primo è la stabilizzazione tecnologica del nostro Paese. Stando ai più recenti dati Istat ed Eurostat, l’Italia occupa le ultime posizioni del settore digitale e le carenze strutturali hanno una rilevanza notevole in questo senso. Il secondo fattore è di tipo culturale, invece. La nostra cultura non incentiva questo modello di interazioni e molto, a mio avviso, dipende dalla legge elettorale. Con l’attuale sistema, infatti, che non prevede un contatto diretto tra candidato e cittadino né alimenta il processo di constituency, i politici non sono motivati a intrattenere rapporti con gli elettori”.
Diversamente potrebbe accadere con le amministrative. Tuttavia uno studio dell’Istituto Cattaneo commissionato da Sky.it in vista dell’imminente voto del 6-7 maggio ha dimostrato come su 84 candidati a sindaco la presenza su internet sia composta di sole 13 personalità che frequentano cinque piattaforme, mentre più di un terzo (29) è attivo su un’unica piattaforma se non addirittura assente dal web. “Anche qui è importante il fattore culturale – osserva la professoressa –, fermo restando che molto dipende dal tipo di strategie che gli staff elettorali intendono adottare. Le elezioni amministrative prevedono diversi meccanismi, spesso ancorati al territorio interessato”. Eppure l’anno scorso le vittorie di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli furono l’emblema della “politica 2.0”. Per molte settimane analisti e politologi osservarono l’andamento della partecipazione, decretando l’importanza della Rete nella scelta del voto. A un anno di distanza questa aria di ventata fresca sembra però essersi affievolita, o almeno non vivace come nella precedente tornata elettorale a cui seguì l’esaltante campagna referendaria. “L’anno scorso – afferma Bentivegna – le elezioni furono caratterizzate da un importante valore simbolico. La comunicazione e le strategie online sono tanto più efficaci quanto c’è una situazione politica nuova. È la mobilitazione che deve precedere qualsiasi altro modello. Non basta essere su internet se i contenuti non sono portatori di proposte innovative”.
Inevitabilmente, quando si parla di comunicazione politica online, si finisce per parlare di Obama e della splendida campagna del 2008. Quell’esperienza verrà bissata ancora quest’anno per le presidenziali di novembre? E soprattutto: riusciremo ad apprendere qualcosa, qui in Italia? “Ritengo che la prossima campagna statunitense istituzionalizzerà le tecnologie, anche se è difficile che Obama possa ripetere la medesima impresa. Proprio le elezioni statunitensi del 2008 hanno sottolineato come la partecipazione, in particolare quella giovanile, sia alla base di questo modello. Obama è il presidente uscente e di visibilità ne ha già molta. Semmai dovrà essere lo staff dello sfidante repubblicano a ingegnarsi qualcosa di veramente innovativo. Ma per quello che si è visto finora non mi sembra che sia stato fatto granché”. E da noi? “Si andrà verso una ‘internettizzazione’ delle campagne elettorali”, risponde Bentivegna. La quale però tiene a precisare: “Temo che ad una massiccia presenza non corrisponderà un’adeguata qualità dei contenuti e dell’uso della rete. Avremo qualche speranza se assisteremo all’abbassamento dell’età media dei candidati. Allora forse osserveremo un nuovo modo di pensare le campagne e una nuova cultura in fatto di tecnologie”.