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La difficile situazione dei trasporti e delle infrastrutture in Italia

di Antonio Caputo

Siamo un Paese di santi, poeti, eroi e navigatori, così almeno usava dire in tempi remoti. Virtù morali, cristiane e letterarie non rilevano in questa sede: è della situazione dei trasporti, spesso problematica, che ci occuperemo. Nel libro “La Deriva”, che tutti dovrebbero leggere (dato che vi sono inquadrati i mali spesso atavici d’Italia nei più diversi settori), scritto quattro anni fa da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, già autori del best seller, “La Casta”, una parte assai importante è dedicata a infrastrutture e trasporti, alleggerendo, con aneddoti e curiosità, la drammatica situazione fatta di cose che non vanno, ritardi, sprechi, disservizi e gravi disagi per i cittadini.
Ritardi e sprechi sono spesso collegati tra loro: basta guardarsi “Striscia la Notizia” per accorgersi della mole enorme di opere incompiute in giro per il Paese, iniziate, magari, da decenni, e lasciate lì abbandonate.
Alcuni esempi, su tutti. A breve (forse) dopo l’ennesimo rinvio, dovrebbe aprire la linea B1 della Metropolitana di Roma, i cui cantieri partirono nel 2005; bene, per aprire al pubblico un tratto di neanche 4 chilometri, ci son voluti sette (!) anni. E sì che a leggere i depliant dell’Atac nel 1997, “linea di prossima costruzione”, vien voglia di interrogarsi, fortemente dubitando, sul concetto di “prossima”. E che dire, per restare nella Capitale, della linea C, finanziata dal governo Dini nel 1995 (!) come opera per il Giubileo del 2000, i cui cantieri anche per essa son partiti nel 2005 (e naturalmente sono ancora in opera)?! Anche la linea A ebbe una gestazione a cui confronto le fatiche di Ercole erano robetta: progettata a metà anni ’50, fu inaugurata nel 1980 (!), il tutto corredato da mezzi di superficie indegni di un Paese del G8.
Ma il Nord, modello di efficienza, non è affatto immune da questi problemi: la linea 5 della Metropolitana di Milano, i cui lavori, nel tratto Bignami (zona Bicocca) – Viale Zara, erano stati completati ad aprile 2011, non è stata ancora aperta, per dei collaudi, il cui mancato completamento ne ha impedito l’apertura straordinaria in questi giorni, per la visita del Papa. E sì che era prevista l’apertura al pubblico nello scorso autunno di tutta la tratta Bignami – Porta Garibaldi (quindi ben oltre Viale Zara)! Trasferiamoci a Venezia: quanto ci è voluto per il Ponte di Calatrava? E per il passante di Mestre, aperto nel 2009, dopo quattro anni di lavori, seguiti però a decenni di chiacchiere? Per non parlare della TAV in Val di Susa, progettata negli anni ’90, assegnata all’Italia nel 2003/2004, ed i cui lavori non sono ancora seriamente iniziati!
Non va meglio al Centro, dalla “Variante di Valico”, tra Bologna e Firenze, progettata negli anni ’80 e ancora in costruzione, alla A12 nel tratto Livorno – Civitavecchia, di cui si parla da venti anni e che solo ora muove i primi passi.
Se al Nord non si ride, al Sud è un pianto greco: la Salerno – Reggio Calabria è in opera da una vita, il Ponte di Messina è ormai diventato una barzelletta, mentre la Siracusa – Gela è ancora di là da venire.
Nei ritardi e nelle inefficienze gioca un ruolo fondamentale la sindrome italiana del “benaltrismo”; si progetta un’opera, i contrari si mobilitano e fanno breccia nell’opinione pubblica, portando avanti la tesi: Ponte di Messina, TAV in Val Susa? No, assolutamente! Ben altri sono i problemi da affrontare: le strade provinciali in Sicilia, la linea ordinaria in Piemonte che vanno adeguate e rese più moderne. Risultato: non si fa né una cosa (l’opera cui ci si oppone), né l’altra (la “ben altra” priorità), quando, invece, servirebbero entrambe.
Se a tutto ciò si aggiunge come per decenni l’Italia si sia focalizzata sul solo trasporto stradale su gomma, trascurando l’adeguamento della rete ferroviaria e dei trasporti via mare, mentre gli altri Paesi investivano fior di soldi in alta velocità ferroviaria, porti e metropolitane cittadine, si capisce come mai la nostra situazione, se non si cambia immediatamente rotta, ci farà perdere altro PIL, e di conseguenza peggiorerà ulteriormente la nostra condizione economico/finanziaria ed occupazionale.
Gli altri Paesi hanno investito massicciamente in infrastrutture, a differenza nostra che buttavamo miliardi di euro per salvare aziende di trasporto pubblico locale decotte, ma che non si poteva far fallire, altrimenti il licenziamento dei dipendenti in sovrannumero, specie al Sud, avrebbe fatto saltare intere carriere politiche. Passando dal livello locale a quello nazionale, il discorso si estende ad Alitalia, Tirrenia e Ferrovie dello Stato. In queste aziende lavorano (per un servizio spesso scadente) molti più dipendenti del necessario, ma guai a ridurne il numero: si scatenerebbero proteste infinite (“volete affamare la gente”) e l’opinione pubblica stessa, che si lamenta per le inefficienze, si farebbe subito impressionare. Non c’è niente da fare: siamo il Paese del pianto facile e dei fazzoletti bagnati.
Intanto, i disagi per i cittadini si moltiplicano, e per percorrere anche brevi tratti si impiegano tempi biblici; le opere che procedono a rilento vedono gonfiarsi a dismisura i costi (nei quali molto spesso è compresa la tangente per gli esponenti politici) e a causa di ciò il Paese arranca: il recentissimo libro bianco di Confcommercio, del quale il nostro giornale si è già occupato, denuncia drammaticamente quanto tutto ciò costi al Paese in termini di mancata crescita. Si evidenzia come la velocità media in città sia ferma a circa 15 km all’ora, in pratica come nel ‘700. Ma si tratta di un dato medio, che include le ore notturne, quando, in assenza di traffico, il tempo impiegato è di gran lunga inferiore; invece, nelle ore di punta la velocità media crolla a 7 Km all’ora: in pratica, andando a passo svelto, si farebbe prima a piedi!

 

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