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I suicidi in Italia: tendenze e confronti (come usare le statistiche)

Pubblichiamo di seguito la nota informativa dell'Istat pubblicata mercoledì 8 agosto

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità la prevenzione del suicidio è una delle priorità di sanità pubblica da perseguire. Tuttavia, le statistiche su questo fenomeno soffrono di problemi di sottostima legati a una pluralità di fattori. In alcuni casi il suicidio, seppur riconosciuto come tale, non diviene visibile per la difficoltà a parlarne, per motivi di varia natura, da parte dei familiari.
Inoltre, ci sono casi che non vengono rilevati per la negligenza di chi dovrebbe stilare i rapporti, e altri che sfuggono alle rilevazioni perché il decesso viene attribuito ad altre cause. Suicidi di anziani che vivono da soli o in casa di riposo a volte possono venir considerati decessi dovuti a “morte improvvisa” o per “causa sconosciuta”; altri casi nei quali il suicidio non viene sempre riconosciuto come tale possono riguardare decessi dovuti apparentemente ad incidenti stradali, per decessi nelle carceri attribuibili ad episodi autolesionistici, ma senza la certezza della volontà di togliersi la vita, e per casi di overdose volontaria di tossicodipendenti.
La sottostima dipende, quindi, in larga parte dalla difficoltà a individuare il suicidio come causa di morte, la quale non agisce in maniera selettiva nei vari gruppi di popolazione, come dimostrato dalla letteratura internazionale1. Per questo motivo essa non impedisce l’uso di queste statistiche, pur con le cautele ora evidenziate, per i confronti nel tempo e tra luoghi geografici diversi.
Il suicidio, inoltre, è un fenomeno di natura multidimensionale per quel che attiene le cause che spingono a compiere il gesto. Per questo motivo, anche quando i casi di suicidio vengono riconosciuti come tali e rilevati dalle indagini statistiche, importanti limiti permangono circa una corretta identificazione delle cause che hanno portato i singoli individui a togliersi la vita.
Per i confronti internazionali si utilizza l’Indagine su “Decessi e cause di morte”, che permette l’armonizzazione delle statistiche sui suicidi con quelle prodotte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’analisi dei dati sui suicidi relativi ai principali paesi OCSE mette in luce due aspetti: il primo riguarda la Grecia, che dal 1993 all’ultimo anno disponibile mostra i valori più bassi (mai oltre i 4 suicidi ogni centomila abitanti) tra tutti i paesi considerati; il secondo riguarda la tendenza decrescente che si manifesta in gran parte dei paesi, seppur negli ultimissimi anni si osservano leggeri aumenti che sarà necessario valutare sulla base degli ulteriori aggiornamenti.
Estonia, Ungheria, Slovenia e Finlandia presentano, nell’intero periodo considerato, i tassi più alti di suicidio; Accanto a questi paesi va segnalato il Giappone che, fra i paesi extra europei, mostra valori alti e un andamento prima crescente poi oscillante.
L’Italia è tra i paesi con i livelli più bassi di mortalità per suicidio e un trend negativo, passando dagli 8,0 decessi ogni centomila abitanti nel 1993, ai 5,9 nel 2009. Anche Regno Unito (7,7 nel 1993, 6,7 nel 2010) e Spagna (8,0 nel 1993, 6,9 nel 2009) mostrano valori relativamente bassi, ma la tendenza alla diminuzione è meno accentuata. La Francia passa da 21,6 suicidi per centomila abitanti ad inizio periodo a circa 16 negli ultimi anni, la Germania, da 15,2 scende a valori compresi tra 10 e 11 suicidi ogni centomila abitanti.
Rispetto all’inizio del periodo considerato, le fasce di popolazione per le quali si è avuta la diminuzione più significativa, quasi un dimezzamento del numero di suicidi ogni centomila abitanti, sono quelle dei maschi fino a 24 anni (da valori vicino a 4 per centomila nel 1993 a 2,1 nel 2009) e delle femmine ultrasessantacinquenni (da 8,4 a 4,3). Importanti riduzioni (quasi un terzo di suicidi in meno rispetto al valore di inizio periodo) si sono registrate anche tra le donne con meno di 24 anni (da 0,9 a 0,6 per centomila) e tra quelle comprese nella classe di età 45-64 anni (da 5,5 a 3,7), oltre che fra gli uomini over65, i quali pur rimanendo la classe di età più a rischio, passano da 30,4 a 21 suicidi per centomila abitanti, con un forte calo a partire dal 1999.
Fra i maschi, una tendenza all’aumento dei suicidi si è registrata negli ultimi anni soprattutto nella classe di età tra 45 e 64 anni.
Sotto il profilo territoriale, al Centro e al Nord i suicidi calano sensibilmente fra le donne, mentre per gli uomini l’andamento è piuttosto oscillante, soprattutto negli ultimi anni.
La diversa intensità con cui la mortalità per suicidio decresce, più marcata nelle ripartizioni geografiche con valori di partenza più elevati e meno marcata nelle altre, ha provocato un generale avvicinamento dei livelli di mortalità. Il Nord Est e il Nord Ovest si confermano le ripartizioni con i livelli di mortalità più alti, il Centro e le Isole oscillano su valori prossimi alla media nazionale, il Sud rimane su valori nettamente inferiori al resto del Paese. È interessante rilevare che il tasso più basso rilevato per il Sud è dovuto soprattutto alla minore propensione al suicidio dei maschi residenti in questa area.
L’istruzione è la variabile più importante relativamente allo status delle persone per l’analisi dei decessi, anche perché la condizione rispetto al lavoro presenta un’alta percentuale di mancate risposte, che si è anche modificata negli anni rendendo più difficili i confronti. E’ pertanto interessante analizzare l’andamento dei suicidi in relazione ai titoli di studio utilizzando i tassi degli anni degli ultimi censimenti (escluso il 2011 per il quale non si dispone, ad oggi, del dato di mortalità per causa) e il valore stimato per il 2009.
La propensione al suicidio è maggiormente elevata tra le persone con titoli di studio medio-bassi.
Il trend dei suicidi risulta in declino tra i laureati, mentre nelle persone con licenza di scuola media inferiore si riscontra un andamento crescente. Per gli altri due livelli del titolo di studio i tassi di mortalità oscillano nel periodo considerato.
Per tutti i titoli di studio la classe di età più anziana presenta livelli più alti; in particolare, risulta una maggiore propensione al suicidio fra le persone con un più basso livello di istruzione e con un’età superiore ai 45 anni. Nelle fasce di età considerate (0-44 anni e 45 anni e oltre) la relazione nel tempo tra propensione al suicidio e titolo di studio registra andamenti diversi, in entrambi i casi non emerge un trend lineare al variare del livello di istruzione.
Guardando le modalità con le quali si ricorre al suicidio, l’“Impiccagione e soffocamento” è quella più diffusa fra gli uomini (negli ultimi anni riguarda più di un caso su due), seguita da “Arma da fuoco e esplosivi“ e “Precipitazione” (rispettivamente 15% e 16,6% nel 2009); le donne invece utilizzano più frequentemente le modalità “Precipitazione” (35,1% nel 2009), “Impiccagione e soffocamento” (33,4%) e “Avvelenamento” (12,1%).
Fra il 1993 e il 2009 risultano in sensibile diminuzione le modalità “Avvelenamento” tra gli uomini e “Annegamento” tra le donne, mentre dal 2003, con l’introduzione della nuova versione della Classificazione internazionale delle malattie (ICD) sviluppata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e delle nuove procedure di codifica adottate dall’Istat, si è registrato un forte aumento dei casi di “Mezzo o modo non specificato”.

 

2 Commenti per “I suicidi in Italia: tendenze e confronti (come usare le statistiche)”

  1. […] con piccole variazioni su livelli storicamente bassi negli ultimi anni”. (vd. anche come usare le statistiche  ). Il tasso del 2010 è rimasto praticamente identico a quello del 2009 e cioè  0,62 per 10.000 […]

  2. […] con piccole variazioni su livelli storicamente bassi negli ultimi anni”. (vd. anche come usare le statistiche  ). Il tasso del 2010 è rimasto praticamente identico a quello del 2009 e cioè  0,62 per 10.000 […]

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