Lavoro, non basta cambiare le regole
L’Istat ha quantificato i lavoratori precari in circa 2,5 milioni di persone. Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,5% nel secondo trimestre del 2012 mentre quella giovanile risulta al 33,9% nello stesso periodo dell’anno. “Incentivare l’occupazione a costo zero è una mera illusione”, afferma convintamente Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano. “Oggi – spiega il professore a T-Mag – ragionare sui dati e metterli a confronto con la riforma del ministro Fornero è ancora prematuro. Tuttavia pensare che si possa invertire la rotta introducendo nuove regole all’interno del mercato del lavoro è altrettanto fuorviante, soprattutto per ciò che riguarda la disoccupazione giovanile. Nella riforma mancano risorse per i giovani, come sgravi contributivi mirati. Non è un caso se i giovani risentono maggiormente della crisi: non avendo stabilità è più facile dismettere i contratti quando vi è una contrazione della produzione. Per recuperare terreno in questo senso è necessario che si creino condizioni vantaggiose per le imprese. Questo deve essere un tema imprescindibile”.
Talmente è difficile trovare un impiego che molti giovani neppure ci provano, sottolinea l’Ilo (l’Organizzazione internazionale per il lavoro). “Incentivare l’occupazione a costo zero – ribadisce dunque Del Conte – si può fare quando c’è una forte domanda potenziale, che al momento è assente”. Una proposta? “Una soluzione potrebbe essere applicare un’aliquota secca contributiva al 10% per i giovani. La misura avrebbe dei costi nell’immediato, ma può ripagarsi nell’arco di due anni contrastando il lavoro nero. Tra il 2009 e il 2011 sono ‘scomparsi’ 200 mila giovani contribuenti provocando un’ingente perdita fiscale. Molti di questi hanno senz’altro perso il posto di lavoro, altri lavorano in nero”.
Tra i provvedimenti del governo per incentivare l’occupazione giovanile figura inoltre l’apprendistato, uno strumento già esistente, ma rinvigorito dalla recente riforma. “Si tratta di un’ottima forma di assunzione con un alto valore formativo. Ma il suo grosso limite – chiosa Del Conte – è la troppa burocrazia, dai contenuti formativi agli enti che devono erogare la formazione. Tutte circostanze che vanno a discapito delle imprese. L’apprendistato continua a far fatica a decollare perché manca di una certificazione delle competenze acquisite più snella e perché necessita di una sburocratizzazione”.
Nell’incontro a Roma tra il premier Mario Monti e il presidente francese Francois Hollande è stato ribadito come rilanciare l’occupazione sia un tema prioritario. Eppure gli ultimi dati Eurostat mostrano una volta di più la discrepanza tra i paesi dell’eurozona (si passa dai dati allarmanti di Grecia e Spagna a quelli ottimi, ben sotto il sei per cento, di Austria, Olanda, Germania e Lussemburgo). “Non c’è dubbio che nel contesto di una crisi generalizzata gli indici sulla disoccupazione siano tendenzialmente più alti, così come gli indicatori sono il metro dei ritardi accumulati. In verità i Paesi più virtuosi si allontanano dagli altri. Nei Paesi in cui si è pensato di competere con quelli in ascesa, tipo la Cina, abbassando il costo del lavoro e non aumentando la qualità della produzione né la produttività, i risultati sono stati deludenti. Un po’ quello che sta avvenendo in Italia dove è più scarsa la qualità della produzione e in declino la produttività. Bisognerebbe invece riflettere su un progressivo alleggerimento del contratto nazionale oltre che incentivare meccanismi premiali per la produttività e sgravi fiscali alle imprese che investono in innovazione e ricerca. Deve avvenire un cambiamento sistemico – conclude il professore –, pensare che modificare le regole del mercato del lavoro sia la soluzione è una pia illusione”.
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