L’impatto della riforma Fornero
Il primo dato che salta agli occhi è il crollo dei contratti di collaborazione. La seconda è la scarsa applicazione dell’apprendistato quale forma contrattuale. Il monitoraggio realizzato dal ministero del Lavoro sulla legge n. 92/2012 (la riforma Fornero, per intenderci) evidenzia le lacune di un mercato che, nonostante le buone intenzioni del precedente governo, appare a tutt’oggi impantanato. Il ricorso ai contratti atipici risulta in netto calo, sia per quelli di collaborazione sia per quelli a chiamata (sono cresciuti in compenso i rapporti di brevissima durata, 1-3 giorni). I contratti a tempo indeterminato, cosiddetto contratto dominante, quale forma comune di rapporto di lavoro, ha registrato anch’esso una contrazione che nel secondo trimestre dello scorso anno ha coinvolto allo stesso modo le donne (-10,1%) e gli uomini (-10,3%). Sei attivazioni stabili su dieci sono riservate a lavoratori “over 34”, mentre una su dieci interessa giovani di età inferiore a 24 anni: ciò spiegherebbe, secondo chi ha redatto il monitoraggio, come la riforma non abbia ancora “sollecitato le imprese ad un maggior ricorso a forme di lavoro ‘standard’ per le giovani generazioni. È il contratto a tempo determinato la tipologia “preferita”, l’unica ad avere stabilito un rialzo dello 0,2% nel terzo trimestre 2013.
E veniamo così al contratto di apprendistato, fiore all’occhiello della riforma Fornero per promuovere l’occupazione giovanile. Lo strumento di per sé era già esistente e con la legge 92 veniva rinvigorito delle sue peculiarità, ma le procedure particolarmente cavillose ne hanno di fatto condizionato il cammino. Perciò i contratti attivati nel secondo trimestre 2013 sono appena il 2,7% dei 2,7 milioni totali, 0,2 punti in meno rispetto allo stesso periodo del 2012. Inoltre cala il numero di contratti destinati a giovani entro i 19 anni di età (-40% nel secondo trimestre 2013) e un calo del 9,7% nella fascia 25-29 anni. In compenso cresce del 3% circa il numero medio di contratti di apprendistato per la componente più adulta (tra i 30 e i 34enni). E ancora: il numero medio di apprendisti trasformati in contratti a tempo indeterminato – il periodo di riferimento è aprile-giugno 2013 – sono stati l’1,3% dei contratti attivi (appena 6.013), vale a dire il 14% in meno su base tendenziale.
Il monitoraggio, infine, evidenzia come le conclusioni dei rapporti di lavoro per licenziamento siano in diminuzione dall’inizio del 2013 e costituiscano grosso modo il 9% delle cessazioni. Tra le varie tipologie di licenziamento, il giustificato motivo oggettivo rappresenta il 75% dei casi.