Usa 2016. Il Michigan “rilancia” Bernie Sanders
Il Michigan tiene ancora in sella Bernie Sanders. Anzi, rilancia la sua corsa. Per quanto Hillary Clinton – che ha vinto le primarie in Mississippi in quest’ultimo Super Tuesday in versione ultra-light – alla conta dei delegati risulti saldamente al comando della competizione democratica, l’esito del voto del Michigan non è affare di poco conto. Per due motivi, sostanzialmente. Il primo: Sanders conferma di non essere incisivo negli Stati del Sud, in compenso è molto forte in quelli settentrionali. Il secondo: in questa fase il Michigan non è uno Stato come gli altri. In piena crisi – economica, morale, urbanistica – lo Stato ha scelto un candidato come Sanders che molto aveva investito qui, facendo leva sui sentimenti delle persone messe in ginocchio dalle contingenze negative.
Nell’ultimo dibattito televisivo, che si è tenuto a Flint – un tempo capitale dell’automobile e ora crocevia di questo stato comatoso – il senatore del Vermont ha attaccato duramente l’ex First Lady su temi quali i trattati di libero scambio e il welfare. Una strategia che, evidentemente, si è rivelata vincente. L’area, infatti, al momento è quanto di più lontano possa esserci dalla finanza o dalle vicende di politica internazionale. Proprio Flint è una città che sta subendo un tracollo senza precedenti, con l’acqua inquinata e gli abitanti costretti a non poter svolgere le attività di tutti i giorni, come cucinare o semplicemente lavarsi, a causa della presenza in dosi massicce di piombo e altre sostanze nocive. Il 28 febbraio, mentre al Dolby Theatre di Los Angeles si tenevano gli Academy Awards, non senza polemiche per questioni razziali, a Flint è stato organizzato un grosso evento musicale a scopo benefico (#justiceforflint).
Sul fronte repubblicano continua, invece, inarrestabile, l’avanzata di Donald Trump, che vince in Mississippi e Michigan, mentre Ted Cruz si aggiudica l’Idaho. Distanziato dai primi due – e non più di poco – Marco Rubio il quale attende con trepidazione il voto in Florida, in programma il 15 marzo. La tappa sarà l’ultima spiaggia per il giovane senatore di origini cubane. Se dovesse fallire anche in Florida, le sue chance verranno di fatto spazzate via. Per i repubblicani il magic number per ottenere la nomination è di 1.237 delegati.
La settimana è stata caratterizzata inoltre, oltre che dall’attacco frontale rivolto a Trump dall’ex frontrunner repubblicano, Mitt Romney, dalla rinuncia – definitiva, stavolta – di Michael Bloomberg a candidarsi alla presidenza da indipendente. L’ex sindaco di New York ha motivato la sua scelta, consapevole di non poter vincere, spiegando che non è sua intenzione ostacolare i due candidati, repubblicano e democratico, e lasciare al Congresso il dovere di scegliere il futuro inquilino della Casa Bianca in caso di mancato raggiungimento della maggioranza (e, dunque, favorire Trump o al massimo Cruz, stando agli schieramenti attuali). Quello che segue è uno spot che Bloomberg avrebbe utilizzato nell’eventualità di una sua candidatura.
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