Usa 2016. I miliardari e le campagne elettorali
Indietro nei sondaggi dopo una lunga serie di gaffe, costretto – pur di non spaccare il Partito repubblicano – ad un passo di lato dopo il mancato endorsement allo speaker della Camera Paul Ryan e al senatore John McCain, Donald Trump ha avuto in questi mesi un bel daffare nella raccolta fondi, resa particolarmente ostica dalle perplessità di piccoli e grandi sostenitori del Gop nei riguardi della sua candidatura. Al confronto le cifre raccolte da Hillary Clinton sono apparse astronomiche, ma il mese di luglio ha segnato un’inversione di tendenza che sembra aver preoccupato non poco la campagna dell’ex segretario di Stato nella prima amministrazione Obama. Il tycoon di New York è riuscito a raccogliere 80 milioni di dollari, in maggioranza provenienti da piccole donazioni. Secondo Politico il risultato (quasi) inaspettato ha affrettato i vertici dello staff democratico ad inviare una nota ai donatori, chiedendo loro un ulteriore sforzo nelle prossime settimane.
Trump, al contrario, almeno pubblicamente, non ha mostrato particolare preoccupazione per la raccolta fondi. Soltanto nella seconda parte della campagna, per lo più autofinanziata, si è messo alla ricerca di donazioni esterne. Anzi, da un lato rivendica tale circostanza come un punto di forza: Hillary “appartiene” a Wall Street – dice – mentre lui, tenendosi a distanza, sarà un presidente che non potrà essere “comprato”. Slogan a parte a Trump, da un punto di vista organizzativo, i soldi dei sostenitori farebbero comodo, eccome. Ma gli storici finanziatori del Gop non hanno fin qui mostrato il consueto entusiasmo alla vigilia di un appuntamento elettorale. Molti ricconi, tra miliardari, manager, imprenditori e celebrità statunitensi, hanno piuttosto espresso la propria preferenza per Hillary Clinton. Tra i primi l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, il quale aveva accarezzato l’idea di candidarsi da indipendente (come già fece per il terzo mandato da mayor, una volta lasciato il Partito repubblicano) salvo abbandonarla dopo poco per il timore di favorire proprio Trump. Di pochi giorni fa è l’endorsement di Warren Buffett (si fa per dire: il presidente della Berkshire Hathaway la sostiene dal momento dell’annuncio, nel 2015). Tim Cook, ceo di Apple, intende raccogliere a breve fondi da destinare alla campagna di Clinton e altrettanto farà Leonardo DiCaprio.
In quanto candidato repubblicano a Trump stanno mancando soprattutto i soldi dei controversi fratelli Kock, i miliardari David e Charles, a capo della Koch Industries (fondata dal padre Fred C. Koch all’inizio degli anni ’40), specializzata nella produzione di energia e nella raffinazione di petrolio, ma che nutre interessi anche in altri settori. Sono da molto tempo degli autentici kingmaker nel campo conservatore. David Koch si presentò nel 1980 – quell’anno Ronald Reagan fu eletto alla Casa Bianca – come candidato vicepresidente del Partito libertario. A partire da quel momento decise di ritirarsi dalla politica attiva, ma – insieme al fratello maggiore – di influenzare a suon di milioni le elezioni sostenendo a tutti i livelli i candidati conservatori. L’anno scorso, tramite la Freedom Partners, l’organizzazione legata ai fratelli Kock (che in tutto, però, sono quattro), i due ricchissimi imprenditori, già ferventi sostenitori del Tea Party, avevano comunicato le intenzioni di voler raccogliere 889 milioni di dollari per il 2016, in vista della campagna elettorale. In pratica raddoppiando gli sforzi – loro e di altri finanziatori – del 2012, quando impegnarono 407 milioni a favore di Mitt Romney e del partito.
Come ha scritto qualche tempo fa il New York Times i fratelli Koch, in questo lungo arco temporale, anziché sostituire il Partito repubblicano hanno contribuito a rimodellarlo profondamente. I Koch, fautori di un sistema fiscale quasi nullo e di un welfare ridotto al minimo, sono stati spesso accusati di volere pochi controlli per l’industria, in particolare in termini di impatto ambientale. Di recente hanno cominciato a promuovere una nuova immagine di sé, attraverso una campagna contro le diseguaglianze sociali. E nei confronti di Trump – quasi a conferma della recente “conversione” – hanno mostrato freddezza, se non proprio scetticismo. Non il loro candidato ideale, evidentemente. Dalla parte di Trump, in compenso, c’è Peter Thiel, cofondatore di Paypal e tra i primi a credere in Facebook. E – udite, udite – uno dei quattro fratelli Koch, William (curiosità: David è il suo gemello), il quale da tempo è fuori dalla Koch Industries. Mother Jones ha riferito di una raccolta fondi ospitata nella sua casa a Capo Cod.
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