Usa 2016. Programmi economici a confronto
Entrambi i candidati alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Donald Trump, hanno scelto Detroit quale luogo in cui presentare i rispettivi programmi. Una decisione non casuale. Detroit, capitale dell’auto, è stata il simbolo di un declino economico negli ultimi anni (che si è risollevato solo di recente), soprattutto con la bancarotta del 2013 e un tasso di disoccupazione che ha raggiunto il 20%. La candidata democratica, che l’11 agosto in verità ha parlato a Warren, nei pressi della metropoli del Michigan, porta in dote i risultati dell’amministrazione Obama – l’economia statunitense continua a crescere e il mercato del lavoro appare sostanzialmente in salute -, eppure si è rivolta alle persone in difficoltà della middle-class. Il pretesto, neanche a dirlo, il precedente discorso del rivale repubblicano. Parlando l’8 agosto all’Economic Forum di Detroit, Donald Trump ha presentato al paese le principali proposte del suo programma economico, che dovrebbe venire svelato interamente nelle prossime settimane. E nelle ore successive le polemiche si sono sprecate dopo che il tycoon di New York ha pronunciato una frase che più ambigua non avrebbe potuto, incitando durante un comizio a Wilmington, in North Carolina, il “popolo del secondo emendamento” – i difensori del diritto a possedere armi – a prendere provvedimenti in caso di elezione di Hillary Clinton.
L’ECONOMIA SECONDO TRUMP
Ad oggi sappiamo che Trump intende abbassare le aliquote fiscali per le imprese e le persone fisiche. Tuttavia, diversamente da quanto annunciato in precedenza – il piano iniziale di Trump prevedeva quattro aliquote (0, 10, 20 e 25%) –, il candidato repubblicano ha deciso di seguire la linea dettata dal partito: le aliquote sulle persone fisiche, che attualmente sono sette con la più alta al 39,6%, verranno ridotte a tre, ma saranno più alte (12, 25 e 33%) rispetto a quelle proposte inizialmente da Trump, che promette anche di semplificare il fisco e di realizzare così “la più grande rivoluzione fiscale dai tempi di Ronald Reagan”, che fu il presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1989. Trump vuole abolire anche la tassa di successione, che attualmente viene pagata negli Stati Uniti soltanto per i beni ereditari di valore superiore ai 5 milioni di dollari.
Il programma economico di Trump riguarda (naturalmente) anche le imprese – nessun imprenditore pagherà oltre il 15% di tasse, ha promesso il candidato repubblicano – e intende incentivare il ritorno dei capitali “parcheggiati all’estero”, con l’introduzione di una “tassa di rimpatrio” del 10%.
Trump intende rinegoziare il North American Free Trade Agreement (NAFTA) – ovvero l’accordo commerciale in vigore dal 1° gennaio del 1994 con Canada e Messico – il TPP – il Trans Pacific Partnership sottoscritto con i Paesi che si affacciano sul Pacifico – e l’accordo bilaterale sottoscritto con la Corea del Sud nel 2012. Tutti questi accordi hanno danneggiato gli interessi dell’America e dei suoi lavoratori, sostiene Trump. Di qui la necessità di una revisione dei trattati in essere che, assicura il candidato repubblicano, non si tradurrà in una politica isolazionista. Anzi. Trump promette “grandi” accordi commerciali, senza anticiparne i particolari e con quali Paesi intende sottoscriverli. Tra questi potrebbe non esserci la Cina “che manipola le valute ed è responsabile di quasi la metà del nostro deficit”.
Una volta alla Casa Bianca, Trump ha promesso che renderà deducibili i costi sostenuti dalle famiglie americane per il childcare (asili nido, servizi per l’infanzia). Nel corso del suo intervento, però, il candidato repubblicano non ha offerto ulteriori dettagli al riguardo, limitandosi a promettere novità nei prossimi giorni: “A breve, presenteremo il nostro piano, a cui ho lavorato con mia figlia Ivanka e un team straordinario di esperti”, ha ammesso.
La politica energetica, infine. Trump intende stracciare l’accordo sul clima sottoscritto a Parigi a dicembre e far ripartire il progetto del maxi oleodotto Keystone XL per collegare i giacimento di sabbie bituminose canadesi alle raffinerie sul Golfo del Messico, bloccato da Obama.
L’ECONOMIA SECONDO CLINTON
Hillary Clinton, che aveva il vantaggio di rispondere a Trump a distanza di qualche giorno, si è scagliata contro l’avversario ancor prima di presentare il proprio programma. Il piano di Trump (“la più grande rivoluzione fiscale dai tempi di Ronald Reagan”) non la convince affatto, il che non dovrebbe stupire, ma l’ex First Lady ha anche aggiunto che “non aiuta l’economia”. Clinton sostiene infatti che Trump intende concedere “sgravi fiscali alle grandi aziende e ai ricchi”, ovvero proprio coloro che dovrebbero “pagare il giusto di tasse per favorire il cambiamento”. Insomma, secondo la candidata democratica gli sgravi promessi da Trump favorirebbero pochi a tutto svantaggio della maggior parte dei cittadini statunitensi.
Hillary Clinton già in precedenza aveva annunciato, in caso di vittoria a novembre, l’intenzione di affidare al marito ex presidente Bill il compito di rilanciare l’economia. Ad ogni modo non ha fatto mistero di puntare molto sugli investimenti nelle infrastrutture, altrimenti in diminuzione negli ultimi anni. Quello che avrebbe in mente è un piano da 275 miliardi di dollari.
Si è parlato anche di ambiente, con l’ex segretario di Stato nella prima amministrazione Obama che non ha nascosto di puntare alle fonti rinnovabili, auspicando un primato tutto americano nel settore. Altra questione è il commercio mondiale. Trump sta investendo molto in termini politici sull’inutilità degli accordi commerciali che non fanno il bene del paese e dei lavoratori. La posizione di Clinton è più morbida al riguardo – non potrebbe altrimenti, avendo lei sostenuto in passato i principali accordi commerciali internazionali -, ma si è detta contraria al TPP (Obama non gradirà, probabilmente) e ha garantito opposizione a chiunque intenderà approfittarsi dell’America e delle sue imprese, con un chiaro riferimento alla Cina. Ma è sulla protezione della middle-class che è tornata più volte nel corso del suo intervento. Ricordando le sue origini umili, condivise con milioni di americani e tenendo a distanza le accuse di essere fin troppo vicina agli ambienti dell’alta finanza. Resta un fatto, che ad oggi accomuna Clinton e Trump: i due candidati alla Casa Bianca, seppure per motivi diversi, non godono di particolare affidabilità tra gli elettori. Nelle prossime settimane la partita si giocherà molto su questo aspetto e l’agenda economica non è questione superflua.
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