Usa 2016. Chicago violenta, percezione e realtà
La diffusione di un video di breve durata che mostra gli istanti precedenti alla morte di Paul O’Neal, un ragazzo 18enne di Chicago, ucciso dalla polizia durante le fasi di arresto, ha fatto da detonatore ad una situazione già abbastanza infiammata di suo. Chicago, la più importante città dell’Illinois, da tempo fa i conti con la violenza nelle strade che sta consumando non poco in termini di vite umane. Dell’esistenza di quel video si è appreso ad inizio agosto (il fatto risaliva al mese precedente) e qualche giorno più tardi migliaia di persone si sono radunate al Millennium Park per protestare contro la brutalità poliziesca, scene viste e riviste di questi tempi in molte città americane. Gli agenti che hanno provocato la morte del giovane afroamericano – colpevole di aver rubato un’auto, ma disarmato al momento dell’arresto – non sono stati subito identificati come è spesso accaduto nei molteplici casi di sparatorie e violenze in città, quando gli autori non sono stati arrestati o riconosciuti. Secondo un’indagine di qualche mese fa di FiveThirtyEight – il sito di analisi statistiche fondato da Nate Silver – è probabile che i fatti di violenza siano aumentati quando i poliziotti hanno smesso di andarci giù pesante, cioè dopo l’uccisione di Laquan McDonald, avvenuta nel novembre del 2015. La paura di andare incontro a qualche nuovo scandalo potrebbe avere inibito il lavoro degli agenti, almeno fino al più recente caso O’Neal. Ma attenzione: l’aumento degli omicidi nella terza città più grande degli Stati Uniti è circostanza che si sta verificando, ormai, da alcuni anni a questa parte.
LA VIOLENZA A CHICAGO, IN CIFRE
Per dare la misura della faccenda basti sapere che c’è un sito, HeyJackass.com, che tiene il conto delle uccisioni a Chicago. Ad agosto sono morte 91 persone in modo violento, dall’inizio dell’anno – le cifre sono aggiornate al momento della stesura di questo articolo – il totale fa 500. Dite che sia troppo? Allora sappiate che nel 2015 gli omicidi sono stati 509. Quindi, a naso: alla fine dell’anno mancano quattro mesi e per quel momento la conta dei morti ammazzati potrebbe salire a oltre 600. Questo sì, che sarebbe troppo. In passato andò pure peggio.
Chicago è la terza città degli Stati Uniti, un importante centro finanziario nonché artistico, patria del blues. È qui che il presidente Obama ha costruito la sua ascesa politica. Sotto molti aspetti è seconda solo a New York, grattacieli compresi. Ma come tutte le grandi metropoli statunitensi anche Chicago è alquanto frammentata, alcune aree e i distretti appena fuori dal downtown sembrano distanti anni luce dal cuore pulsante della città. Nella sua ultima fatica cinematografica Spike Lee l’ha ribattezzata Chi-Raq (Chicago + Iraq), non senza polemiche al riguardo. Le gang controllano i territori e si fanno la guerra, così aumentano le vittime, talvolta inconsapevoli. Come quando poche settimane fa la 32enne Nykea Aldridge, madre di quattro bambini a passeggio con una carrozzina, è rimasta vittima di una sparatoria, quasi certamente – secondo la polizia – nel quadro di un regolamento tra bande. Aldridge era la cugina di Dwyane Wade, famoso cestista Nba di Chicago, passato in estate ai Bulls dopo 13 anni di militanza nei Miami Heat. Il Washington Post ha riferito in un recente articolo che dall’inizio dell’anno sono state uccise più persone nella metropoli dell’Illinois che non a New York e a Los Angeles messe insieme.
PERCEZIONE VS. REALTÀ
Da questa prospettiva Chicago potrebbe allora apparire come la “capitale” della profonda spaccatura americana degli ultimi anni di amministrazione Obama. La stragrande maggioranza degli omicidi ha interessato proprio la comunità nera, accrescendo nell’opinione pubblica la convinzione di una frattura insanabile tra i ceti poveri e quelli più abbienti, persone appartenenti a diversi gruppi sociali, forze di polizia e comuni cittadini. Il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump, uno che conosce bene i tempi televisivi, non ha perso l’occasione di affermare che gli afroamericani voteranno per lui perché l’America – sia beninteso, l’America di Obama e Clinton – è un paese diviso. Ma un conto è la percezione delle cose, un altro è la realtà. Secondo un’analisi New York Times/CBS ai tempi dell’elezione di Obama (2008) il 60% dei cittadini neri definiva genericamente negative le relazioni razziali. Questa percentuale scese subito dopo il successo elettorale dell’allora senatore dell’Illinois, per poi risalire al 68% a distanza di sette anni, il valore più alto dalle proteste di Los Angeles del 1992. Eppure, secondo una rilevazione Gallup, tanti cittadini – bianchi, neri o ispanici – ritengono oggi migliorate le proprie condizioni di vita rispetto al 2008. Per i neri l’aumento – decimale più, decimale meno – è stato di sei punti, per gli altri (bianchi e ispanici) di circa dieci. Non sarebbe dunque un azzardo dedurre che le informazioni, più immediate nell’era di Facebook e Twitter, forniscano una versione alterata della realtà: i problemi atavici restano e interessano ancora diversi strati della società (il pregiudizio razziale di poliziotti e vigilantes, la maggiore propensione a delinquere di chi non ha accesso ad una adeguata istruzione…), ma nel complesso gli americani – bianchi, neri o ispanici – godono di un migliore status sociale: anche la ripresa economica registrata sotto l’amministrazione Obama deve avere contribuito al rialzo.
LA VIOLENZA NELLE CITTÀ ALLA PROVA DEI NUMERI
Nel già citato articolo del Washington Post si è osservato inoltre che nel 2015 altre città – Baltimora e Washington – hanno visto crescere il numero degli omicidi, ma l’incremento vertiginoso di quest’anno sembra interessare perlopiù Chicago. Perciò gli esperti invitano le persone a non giungere a conclusioni affrettate sul possibile aumento della criminalità, anche se i dati preliminari dell’Fbi relativi al primo semestre 2015 questo fanno presagire. Risalta, tuttavia, un dato incontrovertibile: il tasso di criminalità è ai minimi storici nel paese. Tra il 1990 e il 1995 Chicago registrò almeno 800 vittime di omicidio ogni anno. A Los Angeles, solo nel 1990, furono 983 (283 nel 2015), New York superò le duemila unità (352 nel 2015), mentre Philadelphia ebbe il record di 500 omicidi (280 l’anno scorso). Recuperando le cronache dell’epoca si scopre che anche una città relativamente piccola come Boston nel 1990 raggiunse il suo picco, con circa 150 morti violente. Ovvio che la deriva di Chicago (e di altre realtà urbane) rappresenti al momento un problema non indifferente, altrettanto ovvio che Obama lascerà strascichi non necessariamente positivi, ma sarebbe comunque un errore considerare la metropoli dell’Illinois uno specchio degli Stati Uniti “in preda ai disordini”. Al massimo rischia di essere uno specchietto per le allodole.
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