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Industria 4.0, quali prospettive?

I processi produttivi cambiano e si rendono più innovativi. Ma con quali effetti sul mercato del lavoro che subirà le trasformazioni strutturali, in particolare del settore manifatturiero? Il dibattito è aperto
di Fabio Germani

innovazione_01Il piano del governo presentato il 21 settembre a Milano per l’Industria 4.0 è ambizioso. Consiste in 13 miliardi di risorse pubbliche per attivare investimenti innovativi tramite incentivi fiscali. Ma cosa è l’Industria 4.0? Si tratta di quella che comunemente viene definita “quarta rivoluzione industriale”, un mix di processi produttivi e organizzativi ad alto contenuto tecnologico e digitale.
L’idea nasce in Germania, dove viene applicata già da diversi anni dalle grandi e, più recentemente, dalle medie imprese. Il fine è rendere la produzione industriale automatizzata e interconnessa, con la possibilità di vedere crescere la produttività e un abbassamento dei costi.
Secondo un’indagine McKinsey (qui un nostro primo approfondimento sul tema) dovrebbero essere quattro i pilastri dell’Industria 4.0: sviluppo e diffusione dei big data; automazione, intelligenza artificiale, Internet of Things; interazione uomo-macchina ottimizzata; la creazione di prodotti o servizi con l’ausilio della robotica avanzata, della stampa 3D e tutti quei processi che potranno migliorare le prestazioni di un’impresa.
L’Italia, insomma, mira a diventare un polo di eccellenza in questo senso, investendo – si è fatto notare – anche più di Francia, Germania e Stati Uniti. Il piano si spalma sul periodo 2017-2020 e si confida possa innescare un aumento di investimenti privati per dieci miliardi già il prossimo anno, più un ulteriore incremento di 11,3 miliardi di spesa privata in sviluppo, ricerca e innovazione nel periodo 2017-2020.
Tale contesto dovrebbe così assicurare miglioramenti in termini di innovazione e competitività dei settori produttivi. L’innovazione è il motore per rilanciare il sistema imprese italiano, renderlo più competitivo, fornire cioè alle aziende gli strumenti per “stare sul mercato” e reggere l’urto della concorrenza estera anche al cospetto di un tessuto costituito in larghissima parte da Pmi (piccole e medie imprese), di fatto la spina dorsale della nostra economia.

LE RIPERCUSSIONI OCCUPAZIONALI DELL’INDUSTRIA 4.0
In Italia uno dei problemi delle start up innovative è rappresentato soprattutto dalla dimensione imprenditoriale, in quanto è frequente l’assenza di investitori nella fase intermedia, quella – si presume – della crescita, come sottolineato nell’indagine conoscitiva della commissione Attività produttive della Camera. È in questo senso, dunque, che si colloca il dibattito sulle ricadute occupazionali dell’Industria 4.0. Un recente studio del World Economic Forum ha stimato per i prossimi anni un saldo negativo di cinque milioni di posti di lavoro nel mondo (ma non dipenderà esclusivamente dall’impatto tecnologico), ovvero la creazione di due milioni di posti lavoro a fronte di una perdita pari a sette milioni (le previsioni per il nostro paese sono decisamente meno drastiche, quasi in parità).
Nel breve periodo, tuttavia, mano a mano che l’Industria 4.0 viene sviluppata, anche i livelli occupazionali potrebbero beneficiare dei nuovi sistemi produttivi. Le difficoltà riguarderanno gli step successivi, quando si renderà ostico ricollocare la forza lavoro non più necessaria, le cui competenze risulteranno così obsolete. Non si può escludere, infatti, al netto di una migliore interazione uomo-macchina, una parziale (o totale) sostituzione dell’uomo in alcune specifiche attività. Con questi presupposti la sfida del futuro sarà anche dare forma a politiche di sostegno al mercato del lavoro, che subirà i cambiamenti e le trasformazioni strutturali, in particolare del settore manifatturiero. Alla stregua, per dirla con i termini iniziali, delle precedenti rivoluzioni industriali.

@fabiogermani

 

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