Usa 2016. I costi della cattiva condotta della polizia
Una scena, ripresa il 20 settembre da una telecamera della polizia di Charlotte in North Carolina, è simile a molte altre già viste. Un agente si avvicina a un veicolo fermo per un controllo. Poi non si capisce bene perché – il poliziotto è stato minacciato seriamente? O ha perso soltanto l’auto-controllo? –, ma la situazione degenera: l’agente apre il fuoco e uccide l’uomo di fronte a lui. La vittima si chiamava Keith Lamont Scott, aveva 43 anni ed era un cittadino afro-americano. Proprio come il poliziotto che lo ha ucciso: Brentley Vinson, un giovane ventiseienne, da un paio di anni nella polizia di Charlotte. L’esperienza potrebbe aver influito molto nella vicenda: la CNN ha sottolineato che, per conquistarsi il distintivo, i poliziotti del North Carolina affrontano un addestramento più breve rispetto a quello richiesto per diventare un barbiere (lo stesso accade in altri Stati, in realtà: California, Florida, Massachusetts, Michigan, Louisiana).
Al di là delle ripercussioni immediate della vicenda – la comunità nera ha manifestato duramente (nel corso delle proteste ha perso la vita il 26enne Justin Carr) –, la morte di Scott è la penultima di una lunga serie: mercoledì un poliziotto ha ucciso Alfred Olango, un rifugiato ugandese, a San Diego (la polizia ha poi riferito che la vittima non era armata).
LE PERSONE UCCISE DALLA POLIZIA
Un database curato dal Washington Post stima che, al 29 settembre 2016, la polizia ha ucciso 715 persone, un dato (purtroppo) in linea con quello dell’anno precedente. Nel 2015 le vittime sono state 991 persone (495 erano bianche, 258 nere e 172 ispaniche), la maggior parte delle quali sono state uccise perché rappresentavano un’evidente minaccia. I poliziotti hanno ucciso più bianchi che afro-americani, dunque. Ma è l’incidenza sulla popolazione totale a fare la differenza. Seppure datati in quanto relativi al 2012, i dati del Federal Bureau of Investigation (FBI) lo dimostrano ampiamente: il 31% delle persone uccise dalla polizia nel 2012 erano afro-americane, nonostante quest’ultimi rappresentassero appena il 13% della popolazione statunitense (i bianchi erano il 63%).
COSA NE PENSANO I CANDIDATI ALLA PRESIDENZA
I numeri restituiscono la portata di un fenomeno, su cui si sono confrontati anche i candidati alla presidenza degli Stati Uniti. “Tutti dovrebbero essere rispettati dalla legge e tutti dovrebbero rispettare la legge”, ha osservato la candidata democratica, Hillary Clinton, nel corso del primo dibattito televisivo che si è tenuto lunedì alla Hofstra University, a circa 30 chilometri di distanza da New York. Il candidato repubblicano ha difeso la pratica dello “stop-and-frisk”, che consente agli agenti di polizia di fermare e perquisire qualsiasi cittadino, accusando i democratici per le attuali condizioni degli afro-americani, che “vengono usati solo per i voti”.
LO “STOP-AND-FRISK” FUNZIONA?
Nel corso del dibattito, il candidato Donald J.Trump ha detto un doppia bugia. Nel difendere la pratica dello “stop-and-frisk”, oltre a sostenerne l’efficacia, ha sostenuto che non è stata giudicata incostituzionale (salvo poi correggersi, accusando il giudice di essere “molto anti-polizia”). Ma entrambe le affermazioni sono false. Alcuni grafici del New York Civil Liberties Union 2014 dimostrano che, nonostante lo “stop-and-frisk”, il numero di omicidi, sparatorie e delle pistole trovate è rimasto costante fino al 2011.
Mentre il 12 agosto 2013 lo “stop-and-frisk” è stato giudicato incostituzionale da un giudice distrettuale: le forze dell’ordine, infatti, tendevano a fermare prevalentemente i cittadini afro-americani. Vox riporta alcuni dati che lo confermano: il 52% delle persone perquisite dalla polizia di New York tra il gennaio 2004 e il giugno 2012 era afro-americano, mentre tra i bianchi la quota scendeva al 10% (in tutto la polizia fermò e perquisì 4,4 milioni di persone). Una disparità di trattamento che diventa ancor più evidente se si considera che, nel 2010, i bianchi erano il 33% della popolazione totale di New York e i neri rappresentavano il 23%. Donald Trump non è l’unico sostenitore dell’efficacia “stop-and-frisk”: parlando mercoledì alla Camera dei rappresentati, il direttore dell’FBI, James Comey, ha sottolineato che può essere un mezzo molto utile se utilizzato nel modo giusto.
LA FIDUCIA DEI CITTADINI NELLA POLIZIA
Tutto ciò si traduce in una scarsa fiducia nelle forze dell’ordine: secondo un sondaggio Gallup, condotto tra 1° e il 5 giugno del 2016 su un campione di 1.027 persone con 18 o più anni, il 56% degli americani ammette di avere “molta” o “parecchia” fiducia nella polizia, in leggera crescita (+4%) rispetto allo scorso anno, quando la fiducia della popolazione statunitense nelle forze di polizia era tornata ai livelli del 1993.
QUANTO COSTANO I CASI DI CATTIVA CONDOTTA
Un’analisi del Wall Street Journal sostiene che nel 2014 le dieci città statunitensi, con i dipartimenti di polizia più grandi, sono state condannate dai tribunali a pagare 248,7 milioni di dollari per i casi di cattiva condotta delle proprie forze dell’ordine (presunti pestaggi, sparatorie e ingiuste detenzioni…). Una cifra di gran lunga superiore ai 168,3 milioni del 2010 (+48%).
Se poi si allarga l’arco temporale agli ultimi cinque anni, il conto è ancora più salato: le dieci città considerate – l’elenco include New York, Chicago, Los Angeles, Philadelphia, Houston, Washington D.C., Dallas, Phoenix, Baltimora e Miami – hanno pagato complessivamente 1,02 miliardi di dollari. La crescita non è riconducibile soltanto a recenti casi di cattiva condotta, però: alcuni funzionari sottolineano che una buona parte dei soldi sborsati dalle città servono per risolvere vecchi scandali. Tra il 2013 e il 2014, ad esempio, Chicago ha pagato poco più di 60 milioni di dollari per risarcire alcune persone detenute ingiustamente decine di anni fa.
Le puntate precedenti:
Usa 2016. Trump-Clinton, il primo round
Usa 2016. Tensioni razziali e ciclicità degli eventi: “all involved”
Usa 2016. Chicago violenta, percezione e realtà
Usa 2016. Non solo Clinton e Trump
Usa 2016. Programmi economici a confronto