Usa 2016. I media al fianco di Hillary
Negli Stati Uniti è tradizione consolidata, da noi non verrebbe sempre giudicata in maniera positiva. I media americani sono soliti schierarsi apertamente con questo o quel candidato, a livello locale e nazionale. Ma non tutti lo fanno a ogni appuntamento elettorale. Deve essere stato allora il ciclone Tump ad avere spinto testate come Usa Today (la prima volta da 34 anni) o The Atlantic (la terza volta in assoluto) a prendere posizione, pur non avendo alle spalle una ricca storia di endorsement. Inutile ricordare, insomma, il pubblico sostegno dei due giornali in vista del voto dell’8 novembre alla candidata democratica Hillary Clinton.
Il New York Times ha pubblicato il proprio endorsement all’ex segretario di Stato nella prima amministrazione Obama verso la fine di settembre, indicandone le virtù – esperienza, tenacia e coraggio – mostrate nei tanti anni di servizio pubblico. Era il 24 settembre, appunto. L’indomani la gloriosa testata statunitense ha pubblicato un secondo editoriale per motivare le ragioni per cui il rivale repubblicano non deve essere presidente. Storicamente il New York Times si schiera a favore dei candidati democratici, ma stavolta ha voluto marcare la distanza siderale da un possibile inquilino della Casa Bianca quale sarebbe Donald Trump.
Anche il Washington Post è dalla parte dell’ex First Lady. La quale non ha la forza espressiva di Obama né il fascino folk dell’ex presidente Bush o suo marito Bill – scrive l’autorevole giornale –, ma sicuramente saprà essere un presidente dedito all’impegno per il prossimo, pure dinanzi ai grandi ostacoli che incontrerà nel suo cammino. Nella consapevolezza, precisa, che molti americani non nutrono una stima profonda nei suoi confronti, ad esempio per come gestì nel 1993 il caso Whitewater o quello più recente quando era segretario di Stato delle mail di lavoro su server privato. Su Trump il Washignton Post non ha scrupoli a sottolineare quella che ritiene essere un’inadeguatezza al ruolo per cui si è presentato. Ecco perciò che dubbi non ve ne sono più.
QUARTO POTERE
A un certo punto è sembrato di tornare indietro di parecchi anni. Ai tempi del Sexygate, che inguaiò non poco Bill Clinton, il New York Times scrisse: “Il presidente americano è una persona che talvolta deve chiedere ai cittadini che servono nelle forze armate di morire per il loro paese. Tutto ciò che si vuole in cambio è di essere degno di fiducia, leale e di possedere capacità di giudizio. Clinton ha fallito miseramente questo test”. Nei giorni in cui è stato diffuso il video del 2005 in cui Trump usa un linguaggio del tutto inappropriato parlando di donne, ancora il New York Times scriveva: l’America elegge i presidenti “nella speranza che faranno del loro meglio per noi, incluso il tentativo, a prescindere dalle loro e nostre mancanze, di rappresentare il meglio di noi. Non c’è una tale speranza per Donald Trump”.
Il Las Vegas Sun ha provato a spiegare perché ancora oggi, nonostante le persone amino informarsi in tanti modi diversi, gli endorsement hanno un valore. E il motivo è piuttosto semplice: è vero che tanti editorialisti o componenti degli editorial board sono spesso persone lontane dalle minoranze, non più giovanissimi e abitualmente liberali o conservatori, ma è altrettanto vero che dispongono degli strumenti e di una mole di informazioni sui candidati che non appartiene invece agli elettori. Il compito dei giornali, in parole povere, non è dire alla gente come votare, ma consigliare sulla base delle proprie conoscenze.
UNA VOCE FUORI DAL CORO
Non c’è giornale che non si sia schierato dalla parte di Hillary Clinton, dal Los Angeles Times (“Hillary Clinton sarebbe un presidente sobrio, intelligente e pragmatico. Trump una catastrofe”), al Boston Globe (“Quali che siano i suoi peccatucci, le sfide che attendono il paese in questo momento richiedono un presidente con le priorità e la grinta di Clinton”). Eppure, in tutto ciò, si colloca una voce fuori dal coro, quella del Chicago Tribune. Che non sta incitando i suoi lettori a votare per Trump, bensì per Gary Johnson, il candidato del Partito libertario: “Rifiutiamo il luogo comune secondo cui un cittadino che sceglie un candidato di una terza parte sta sperperando il proprio voto”. In realtà il giornale della metropoli dell’Illinois argomenta in modo più elaborato di così. Hillary Clinton è senza dubbio candidato preparato e migliore di Trump, in più una donna alla Casa Bianca romperebbe un tabù che non ha ragione di esistere. Eppure, a causa della sua intenzione di aumentare notevolmente la spesa federale e fiscale, oltre che i seri dubbi su onestà e fiducia, il giornale non ritiene di poter approvare l’ex First Lady. Ricordando il caso Perot del 1992, il Chicago Tribune tende anche a sottolineare come il successo personale di un terzo candidato possa orientare l’operato del futuro presidente degli Stati Uniti d’America. Ad ogni modo un colpo importante per Johnson, altrimenti deluso per non essere riuscito a raggiungere l’obiettivo del 15% nei sondaggi nazionali che gli avrebbe permesso di partecipare ai dibattiti televisivi tra candidati prima del voto.
Le puntate precedenti:
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