Usa 2016. Il mercato del lavoro sotto Obama
Per Hillary Clinton è una “buona notizia”, per Donald Trump un “disastro”. Ad ogni modo gli ultimi dati che provengono dagli Stati Uniti – al di là della retorica dei due candidati alla Casa Bianca a poche ore dal voto – restituiscono l’immagine di un’economia che gode di buona salute, pur con qualche ombra.
La crescita economica statunitense si consolida. Il Prodotto interno lordo (PIL) è salito del 2,9% nel terzo trimestre del 2016, al ritmo più alto negli ultimi due anni. La crescita è stata sostenuta tanto dalla spesa per consumi delle famiglie (+2,1%) quanto dalle esportazioni (+10%). La fase espansiva, inoltre, dovrebbe migliorare ancora nei prossimi mesi, con l’indicatore anticipatore relativo al mese di settembre che è in leggero aumento (+0,2%). Insomma, le condizioni economiche favorevoli potrebbero spingere la Fed ad alzare i tassi di interesse (normalizzando in questo modo la politica monetaria), così come atteso.
La prima stretta monetaria (dal giugno 2006) è avvenuta a dicembre 2015, ma anche di recente la banca centrale statunitense ha deciso di lasciare invariati – per la settima volta consecutiva – i tassi allo 0,25-0,5%, in attesa (oltre che per l’esito del voto dell’8 novembre) di ulteriori segnali di progresso dell’economia.
Il mercato del lavoro – cui la Fed presta particolare attenzione – è l’aspetto più complesso. A settembre sono stati creati 191 mila posti di lavoro (dato al rialzo dai 156 mila della stima preliminare, che aveva indicato un rallentamento rispetto ai mesi precedenti) mentre il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 5%, sui valori pre-crisi. A ottobre l’indicatore è sceso di nuovo e ora si attesta al 4,9%. Tuttavia il numero di posti di lavoro creati risulta essere il mese scorso pari a 161 mila unità, sotto la soglia prevista dagli analisti di 175 mila unità. Anche i salari, su base annuale, sono cresciuti: le retribuzioni sono infatti salite del 2,8%. Il problema che ruota attorno al mercato del lavoro statunitense è legato alla partecipazione. Obama fece il suo ingresso alla Casa Bianca con il tasso di disoccupazione cresciuto, causa scoppio della crisi, al 7%. Nei primi mesi della nuova amministrazione toccò il 10%. Verso la fine del 2014 il tasso di disoccupazione, in costante calo dal 2012 grazie all’introduzione di incentivi fiscali per le aziende che assumono a alzano i salari, è poi diminuito fino al 4,7% toccato quest’anno a maggio. Ma come si diceva il problema è l’andamento del tasso di partecipazione alla forza lavoro (ovvero il rapporto tra forza lavoro – occupati e disoccupati in cerca di impiego – e popolazione) che ha evidenziato una discesa già dal 2010, raggiungendo i minimi da oltre 40 anni (al 62,4%). Un livello che si è mantenuto pressoché stabile, fino all’attuale 62,8%. Le persone che a ottobre hanno cercato attivamente lavoro, ma senza trovarlo, ammontano a 7,9 milioni (poco al di sopra dei 7,8 del mese precedente), mentre sono 5,9 gli americani che hanno un lavoro part-time. Resta il fatto, però, che nel complesso l’economia statunitense ha fatto segnare un’accelerazione dopo un fase della ripresa altalenante e a tratti fiacca, con il Pil poco sopra l’1% nei trimestri precedenti. Un trend, quest’ultimo, che secondo molti osservatori potrebbe condizionare in un senso o nell’altro la corsa alla Casa Bianca.
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