Quanto ci interessa (davvero) del cambiamento climatico?
A parole siamo tutti, chi più chi meno, interessati ai temi ambientali. Salvaguardare il mondo è considerata oggi una priorità, molto più da quando la comunità scientifica ha aggiunto informazioni al riguardo e aggiornato dati. Ma quanto ne sappiamo davvero? Surriscaldamento globale, inquinamento, polveri sottili: concetti che abbiamo assimilato, ma di cui conosciamo poche e superficiali nozioni (spoiler: questo articolo non colmerà le lacune del lettore, piuttosto tenterà di dare una spiegazione plausibile del perché la conoscenza della materia il più delle volte scarseggi).
Di tanto in tanto leggiamo sui giornali di un qualche nuovo rapporto sulla qualità dell’aria nelle grandi città o che mette in guardia dalle emissioni di CO2. I governi stanno seguendo da poco più di dieci anni delle linee guida al fine di scongiurare un ulteriore aggravamento dei cambiamenti climatici, in particolare dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto (16 febbraio 2005). Dal 1 gennaio 2013 è iniziato il secondo periodo di adempimento del protocollo, tramite il cosiddetto emendamento di Doha, secondo cui i paesi partecipanti (38) si impegnano a ridurre le emissioni di almeno il 18% rispetto ai livelli del 1990 (l’Unione europea mira al 20%). Più di recente, invece, c’è stato l’accordo di Parigi, risultato della mega conferenza sul clima (novembre-dicembre 2015), convocata dall’Onu e sponsorizzata fortemente dagli Stati Uniti (che alla prima fase di Kyoto non avevano aderito). È stato sottoscritto da 195 paesi che dovranno sviluppare modelli virtuosi per contenere nel 2030 l’aumento delle temperature. In particolare l’impegno comune è quello di mantenerle “ben al di sotto” di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, come obiettivo a lungo termine. Tuttavia non sono previste particolari sanzioni, né restrizioni: l’importante è non sforare gli standard in vigore adesso.
La lotta al cambiamento climatico è tra i principali lasciti della presidenza – più che dell’amministrazione – Obama. Già nel 2015 il quasi ex inquilino della Casa Bianca presentò un piano volto a ridurre le emissioni degli impianti energetici: “Niente minaccia di più il nostro avvenire e quello delle generazioni future del cambiamento climatico”. E a tale proposito annunciò che “entro il 2030 gli Stati Uniti elimineranno il 32% delle emissioni di CO2 rispetto al 2005”. La questione ambientale è stata così al centro della campagna elettorale, con il presidente eletto Donald Trump che si è distinto per non essere un paladino delle sfide ambientali. Anzi, in tempi non sospetti, a colpi di tweet aveva dato persino la colpa ai cinesi di avere creato il concetto di riscaldamento globale allo scopo di rendere meno competitiva l’industria statunitense. Durante la fase di transizione ha poi nominato Scott Pruitt – procuratore generale dell’Oklahoma e noto negazionista dei cambiamenti climatici – a capo dell’EPA, l’agenzia federale per l’ambiente. Una scelta – ha precisato Trump – che non va contro l’esigenza di tutelare l’aria e le altre risorse naturali, ma di contrastare un’agenda anti-energetica. Secondo una ricerca del Pew Research Center la collocazione politica è spesso alla base delle proprie convinzioni sul tema: gli elettori liberal sono più predisposti dei conservatori a ritenere credibili gli allarmi della comunità scientifica sul global warming.
Anche i media fanno (e non fanno) la loro parte. A tale proposito il Pew Research Center ci informa che gli americani sono piuttosto divisi sulla copertura mediatica dei temi ambientali. Il 47% ritiene soddisfacente il lavoro dei media, ma il 51% è di tutt’altro avviso. Il 35%, poi, sostiene che i media statunitensi diano troppa enfasi alla minaccia del cambiamento climatico e il 42% che non la prendano sul serio. In Italia un’indagine dell’istituto GfK per WWF, diffusa a marzo 2016, metteva in luce come per il 94% degli intervistati il cambiamento climatico sia in testa tra le principali preoccupazioni legate ai problemi ambientali (di quel 94%, il 73% lo considera addirittura un problema “molto grave”). E dell’informazione trasmessa dai media sull’argomento cosa pensano gli italiani? Che di solito è carente, con un 36% del campione che afferma di non averne ricevuto notizia o di avere appreso qualcosa in maniera evidentemente insufficiente.
Hanno ragione: dal terzo rapporto dell’Osservatorio Eco-Media emerge che più della metà degli articoli della carta stampata affrontano questioni generali del dibattito etico-politico oppure si occupano di questioni ambientali a seguito di convegni ed eventi. Peggio avviene in tv, con il 48% delle notizie incentrate solo su temi quali incidenti e calamità. A questo punto è però necessario sottolineare che il monitoraggio (per quanto riguarda l’informazione televisiva) è avvenuto nei primi nove mesi del 2016, periodo che ha registrato un incremento delle notizie al 7% dal 3% dell’anno prima, soprattutto a causa di due eventi: dapprima il referendum di aprile sulle concessioni per le trivellazioni, in seguito il terremoto che ha colpito le regioni del Centro Italia. I giornali – Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, tutti analizzati nel periodo aprile-settembre 2016 – seguono con un discreto grado di attenzione le notizie di best practices in materia (specialmente a livello locale), mentre sono marginali le presentazioni di scoperte e innovazioni nell’ambito di energie sostenibili o rinnovabili. Questo è, in estrema sintesi, lo stato dell’arte dell’informazione sui temi ambientali. Ora giudichi il lettore.
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