Tecnologie digitali e lavoro: quali scenari?
L’industria italiana tiene, nonostante una crescita ancora troppo debole dei prestiti alle imprese e il costo del lavoro che, nel nostro paese, si mantiene ancora su valori elevati. Così il Centro Studi di Confindustria colloca l’Italia al settimo posto nel mondo (nel 2016) tra i paesi industrializzati, il secondo in Europa dopo la Germania. In testa ancora Cina e Stati Uniti. Sintetizzando il quadro generale, il ciclo economico sembra essere ripartito, siamo in una fase di recupero, tuttavia non abbiamo superato del tutto le situazioni di incertezza. Però l’export registra notevoli performance e la domanda interna è in ripresa. “Dal lato dell’offerta – spiega il Centro Studi di Confindustria – è l’industria a guidar la risalita del PIL: la produzione dall’inizio del 2013 al terzo trimestre 2017 è cresciuta del 7,2%, con un incremento quasi doppio rispetto a quello del PIL”.
Tale andamento generale ha provocato un “cambio di rotta” anche nell’occupazione. Dall’autunno 2007 all’inverno 2015 l’occupazione nel manifatturiero italiano è calata di quasi 800 mila occupati (-17,1%), ma dalla primavera 2015 a metà 2017 è aumentata dell’1,5%, circa 60 mila occupati in più. Le tecnologie, l’automazione dei processi produttivi, l’impiego di robot e intelligenze artificiali, sono tutti fattori che stanno caratterizzando in qualche modo l’andamento del mercato del lavoro. Anche Confindustria ricorda che “l’impatto della tecnologia digitale sul mondo del lavoro si estenderà rapidamente in modo diffuso e profondo”. Per poi aggiungere che “non sappiamo prevedere quale sarà l’effetto complessivo e a livello globale sull’occupazione, ma sappiamo che milioni di posti di lavoro saranno distrutti e creati nel mondo e che i nuovi posti di lavoro non necessariamente saranno negli stessi luoghi in cui sono stati perduti; richiederanno competenze diverse da quelle attuali”.
Quest’ultime sono conclusioni cui sono già giunti altri istituti di ricerca e organizzazioni che hanno dedicato al tema studi e approfondimenti. Lo scenario è incerto, ma all’incirca gli esperti concordano su un aspetto: nessuna rivoluzione – ammesso che l’attuale fase transitoria sia definibile “rivoluzionaria”, poiché convivono, specie in un paese come l’Italia, i tratti delle precedenti “rivoluzioni” – ha mai provocato una disoccupazione di massa. Semmai una serie di trasformazioni socioeconomiche, talvolta più brevi o durature.
Ecco, allora, che torna in superficie l’annosa questione: i robot ci ruberanno il lavoro? La domanda è più complessa di quanto non sembri ed esige una riposta altrettanto complessa (su Galassia Lavoro è possibile consultare i diversi articoli sull’argomento). Ciò che conterà di più è lo scambio di informazioni tra macchine da un lato, l’interazione uomo-macchina dall’altro. Condizioni che, in generale, già ora prevedono uno stravolgimento delle mansioni, delle professionalità e delle competenze.
Un’ipotesi che sembra andare proprio in questa direzione è quella formulata da alcuni ricercatori del Media Lab del Mit di Boston, secondo i quali il rischio di ingenti perdite di posti di lavoro è più probabile nei piccoli centri che non nelle grandi città, di solito caratterizzate da livelli occupazionali in settori che prevedono figure professionali quali manager o tecnici avanzati. Al contrario, nei piccoli centri, sono più frequenti lavori di tipo routinario (d’ufficio o simili). E proprio quest’ultima tipologia di attività lavorative sono state considerate già in altri studi quelle maggiormente “predisposte” ai mutamenti che l’automazione porterà in dote nel medio e lungo periodo.