Modelli di sviluppo: l’economia circolare
Dall’ultimo rapporto della Fondazione Symbola e di Unioncamere (in collaborazione con Conai), GreenItaly 2017, emerge come le imprese (più di una su quattro) che dall’inizio della crisi hanno scommesso sulla green economy – dunque che hanno investito in tecnologie che riducono l’impatto ambientale, risparmiando energia e contenendo le emissioni CO2 – siano riuscite a tradurre tutto ciò in maggiore competività, crescita dell’export e dei fatturati, incrementato l’occupazione. Si stimano quasi tre milioni di posti creati in Italia, che contribuiscono alla formazione di 195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, quindi che generano ricchezza.
Ma la green economy è, pur nella sua importanza e vitalità, un aspetto marginale rispetto a quanto si potrebbe fare complessivamente se si riuscissero a mettere insieme tutti i tasselli del riciclo, riuscendo così a risparmiare durante i processi produttivi e a rispettare l’ambiente. Partendo da questi semplici presupposti ecco, allora, che chiamiamo in causa l’economia circolare (circular economy), uno dei temi più dibattuti all’ultima edizione di Ecomondo, la fiera che si è da poco conclusa a Rimini e che coinvolge il mondo della green economy. Ma cos’è l’economia circolare? Dalla pagina Wikipedia dedicata: «Economia circolare è un termine per definire un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo. Secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, in un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». In altre parole, quelli biologici possono – ad esempio – essere riutilizzati nella produzione agricola; per quelli tecnici si provvede a recuperare i materiali utilizzati per realizzare un prodotto, mantenendone inalterata la qualità, rimessi a sistema per far funzionare prodotti nuovi. Quest’ultimo caso è molto frequente nell’industria dell’auto, ma non solo. In generale l’economia circolare include tratti di altri modelli economici, dalla green economy (appunto) alla sharing economy.
Secondon uno studio realizzato dalla Ellen McArthur Foundation e McKinsey, nel Vecchio continente da tale processo virtuoso può derivare un beneficio economico di circa 1.800 miliardi di euro entro il 2030, una crescita del Pil di ulteriori sette punti, più posti di lavoro con un aumento annuale del 3% della produttività delle risorse. A livello globale una recente ricerca di Accenture mette in luce come rendere sostenibili i modelli di business possa garantire al 2030 un ritorno di 4.500 miliardi di dollari. Sintetizzando al massimo, il concetto di rifiuto sparirebbe e materiali già utilizzati (leghe, polimeri, metalli….) assumerebbero un nuovo, e fondamentale, valore.
Rigenerare le componenti di manufatti e prodotti è un’attività che si sviluppa nel solco delle iniziative europee per una maggiore utilità, come il programma Horizon 2020 (un fondo di 65 miliardi di euro dal 2014 al 2020 destinato a imprese, enti di ricerca e università), volto a rafforzare ambiti e asset strategici quali la sicurezza alimentare, l’agricoltura e la bioeconomia, l’energia, i trasporti e tutte quelle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici e all’impatto ambientale, quali il riutilizzo di risorse e l’efficienza delle materie prime.
[…] di come dovranno essere le città, costruite con materiali innovativi, dedite al riciclo e all’economia circolare, un’opportunità per il settore […]
[…] della plastica monouso e classificandosi come uno dei paesi più avanzati nella green economy e nell’economia circolare, secondo cui gli scarti di un’impresa diventano materie prima per un’altra. Per l’Eurostat […]