Perché l’automazione è un’opportunità
Uno dei principali temi affrontati nel corso del World Economic Forum è e sarà senza dubbio quello legato alla nuova rivoluzione digitale. Le sfide poste di fronte ai governi sono molte e, se non dovessero essere colte nella giusta maniera, potrebbero portare a conseguenze disastrose, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista sociale. Infatti, nonostante la teoria di base suppone che l’innovazione generi crescita economica e progresso, secondo altre ipotesi, i risultati tecnologici di oggi potrebbero ritorcercisi contro.
Un appello in merito è arrivato anche da Papa Francesco che, in una lettera inviata direttamente al fondatore del WEF, l’economista tedesco Klaus Schwab, ha scritto:
“L’intelligenza artificiale, la robotica e le altre innovazioni tecnologiche devono essere impiegate a servizio dell’umanità e alla protezione della nostra vita sulla terra, piuttosto che diventare una minaccia come alcune valutazioni purtroppo prevedono. È fondamentale salvaguardare la dignità della persona umana, in particolare offrendo a tutti vere opportunità per uno sviluppo umano integrale e attraverso politiche economiche che favoriscano la famiglia. I modelli economici, devono osservare un’etica di sviluppo sostenibile e integrale, basata su valori che mettano al centro la persona umana e i suoi diritti. Di fronte alle molte barriere dell’ingiustizia, della solitudine, della sfiducia e del sospetto che vengono ancora costruite ai nostri giorni il mondo del lavoro è chiamato a compiere passi coraggiosi affinché essere e lavorare insieme non sia solo uno slogan ma un programma per il presente e per il futuro”.
Non sempre, infatti, sviluppo economico e progresso etico coincidono. È un timore piuttosto diffuso quello secondo cui l’avanzata tecnologica, che sta interessando la nostra era, più che favorire alcuni aspetti della vita, come il lavoro, possa interferire, creando ad esempio disoccupazione di massa e quindi difficoltà per le famiglie. Nell’immaginario comune, influenzato probabilmente anche da film o libri di fantascienza, l’automa o il robot è visto come uno strumento negativo, pronto a sostituire l’uomo in tutto e per tutto, e non come un’opportunità o una “leva”. Eppure la maggior parte degli studi dimostra il contrario. Proprio oggi nel corso del Forum, Accenture ha presentato uno studio nel quale argomenta come l’intelligenza artificiale sia un’occasione da non perdere e la chiave è proprio l’efficace cooperazione uomo-macchina, possibile solo grazie a investimenti mirati. Secondo Accenture (ma molti altri studi ne hanno sottolineato l’importanza) a muovere i fili, affinché l’intelligenza artificiale abbia un impatto positivo anche sulle realtà più piccole, dovranno essere i manager delle aziende stesse, investendo sulla formazione dei propri dipendenti (discorso da ampliare ai governi nel momento in cui si parla dell’IA come leva per sostenere lo sviluppo di un’economia). Stando alle stime contenute nell’analisi, muovendo i fili giusti, i ricavi delle aziende potrebbero crescere del 38% entro il 2022, comportando anche un aumento dell’occupazione del 10%.
“Per riuscire a crescere nell’era dell’IA – spiega appunto Marco Morchio , Accenture Strategy Lead per Italia – le aziende devono investire di più in formazione, al fine di preparare i dipendenti a un nuovo modo di lavorare in cooperazione con le macchine. Quella che noi definiamo Applied Intelligence – cioè la capacità di integrare rapidamente tecnologia intelligente e ingegno umano in tutte le funzioni aziendali – sarà sempre più un elemento imprescindibile per il successo e la crescita delle imprese». Un aspetto condiviso anche dal 69% dei dipendenti intervistati da Accenture, secondo cui sarà cruciale sviluppare competenze che permettano di lavorare con le nuove tecnologie.
In Italia, in quanto a competenze digitali siamo ancora un po’ indietro. Secondo il report sulle competenze digitali in Italia – Il futuro è oggi: sei pronto? – di University2Business, la conoscenza delle nuove tecnologie da parte degli studenti universitari italiani sta migliorando, ma rimane “ancora un gap da colmare”. Nel rapporto si legge che “in media, soltanto il 30%, conosce la definizione corretta di strumenti dell’innovazione digitale applicati al business come mobile advertising, cloud, fatturazione elettronica o big data (erano il 25% due anni fa), mentre ben il 60% non ha mai sentito nominare alcune delle principali aree dell’innovazione digitale, come blockchain, Internet of Things o Industria 4.0. Passando dalla teoria alla pratica il divario diventa più evidente: solo un universitario su cinque (il 21,5%, contro il 18,6% del 2015) mediamente ha un’esperienza concreta nella gestione di progetti digitali. Un buon 38% ha già venduto online, il 26,9% gestisce una pagina Facebook, appena l’11,4% ha un canale YouTube e il 9,8% un proprio sito o blog. È in deciso miglioramento, sostiene la ricerca, la competenza nello sviluppo software (coding), la cui importanza è compresa ormai da 4 studenti su 10 con un’incidenza trasversale tra le facoltà: il 16% sa già sviluppare (contro il 10% di due anni fa) e il 29% sta imparando (il 20% nel 2015)”.
Non è dunque un caso se per oltre la metà delle imprese considerate dall’indagine (il 51%) è difficile trovare personale preparato in ambito digitale (molto difficile per il 24,7%). D’altronde quando si tratta di assumere un neolaureato, per un’azienda su due (per il 53,4%) le competenze digitali sono molto importanti o addirittura fondamentali (per il 19%).