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Fare rete e innovare, la chiave per la crescita e per lo sviluppo

«Il risultato più importante è che le imprese collaborano più spesso con altri soggetti privati (in particolare fornitori di attrezzature e materiali). Il ruolo delle università e delle istituzioni di ricerca pubbliche appare complessivamente secondario», afferma l'Istat nel Rapporto annuale 2018
di Fabio Germani

Parliamo non poco di innovazione, di quanto sia importante per la crescita, per lo sviluppo di opportunità, di benessere e di ripresa dei livelli occupazionali. Poi, leggendo il Rapporto annuale 2018 dell’Istat, ci si accorge di quanto siamo lontani dal creare sinergie complesse – imprese-università-istituzioni pubbliche – nonostante tutto, da Industria 4.0 in poi, si muova in quella direzione. Osservando gli indicatori europei in materia, l’Istat afferma che «il risultato più importante è che le imprese collaborano più spesso con altri soggetti privati (in particolare fornitori di attrezzature e materiali). Il ruolo delle università e delle istituzioni di ricerca pubbliche appare complessivamente secondario». Poi c’è l’eccezione che al solito, quando si tratta di queste cose, è la Germania: «A livello di paese, inoltre, si osserva una diversa propensione alla collaborazione del Regno Unito (con oltre il 60 per cento degli innovatori impegnati in attività di cooperazione rispetto a Italia e Germania (entrambe intorno al 20 per cento e con una netta preferenza per collaborazioni con altri soggetti nazionali)».

«Il tema è di particolare interesse in Italia, dove si possono mettere in evidenza alcuni aspetti peculiari di un contesto di scarsa propensione alla cooperazione per l’innovazione», prosegue l’Istat. Due fattori possono incidere in maniera significativa. Il ciclo economico, tanto per cominciare: se è positivo crescono le aspettative e allora si è maggiormente disposti a sperimentare e implementare innovazione. L’altro aspetto riguarda la dimensione dell’impresa, in un tessuto fatto perlopiù da piccole e medie imprese. Quello che emerge, insomma, «la definizione di accordi di cooperazione con università o centri di ricerca appare assai più ardua per le imprese piccole o medie rispetto alle grandi imprese». «I dati disponibili – precisa l’Istituto nazionale di statistica – si riferiscono però a collaborazioni “formali”, ovvero basate su accordi o contratti normalmente bilaterali, e l’evidenza statistica mostra che, considerando le attività innovative delle imprese, è soprattutto la ricerca e sviluppo (R&S) svolta all’interno dell’impresa quella che necessita di iniziative di cooperazione strutturate. La gestione di progetti congiunti di R&S con altre organizzazioni richiede infatti un livello di “formalizzazione” misurabile anche in termini statistici, soprattutto nel caso di progetti finanziati da soggetti pubblici».

Il nostro paese non sfigura, ad ogni modo, al cospetto del programma di ricerca Horizon 2020 della Commissione europea che, promuovendo e finanziando consorzi di ricerca tra imprese e istituzioni europee ed extra-europee, ha creato un’ampia rete in cui sono inseriti anche numerosi soggetti italiani. È doveroso seguire l’Istat, a questo punto: «Nell’analisi di questa rete sono stati inclusi i progetti con almeno due partecipanti e questi sono stati raggruppati per paese (considerando singolarmente i principali dodici paesi dell’Unione europea e raggruppando i restanti 16 paesi Ue, quelli europei non-Ue e i paesi extra-europei) e per attività (imprese, università, enti di ricerca pubblici o privati, altri enti pubblici e enti non-profit). Considerando di eguale valore e non direzionali le relazioni tra singoli partecipanti all’interno di ciascun consorzio, sono state individuate 919.661 relazioni bilaterali tra i 75 gruppi paese-attività possibili. La matrice delle relazioni è stata analizzata con metodologie di social network analysis per individuare i gruppi caratterizzati da maggiore centralità, intesa come la capacità (potere o prestigio) di stabilire relazioni con altri soggetti (in questo caso, aggregando altre istituzioni in consorzi internazionali di ricerca di alto livello). I soggetti italiani presenti sono: 1.881 imprese, 327 enti di ricerca, 245 enti non-profit, 161 enti pubblici e 98 università».

Ad ogni modo emerge in modo chiaro un quadro a tinte fosche. L’innovazione, proprio perché è uno dei migliori antidoti alle crisi economiche, deve essere messa a sistema. Non stiamo messi male, ma le differenze territoriali (il divario Nord-Sud si fa sentire anche in questo caso) e alcuni atavici ritardi (continuiamo ad occupare, ad esempio, gli ultimi posti in Europa per utilizzo di internet e fruizione dei principali servizi online anche a causa di un gap generazionale “profondo”) ci pongono nella condizione di dover inseguire gli altri. Eppure «fare rete» è importante e in questo senso le imprese italiane viaggiano su valori molto simili a quelli delle imprese tedesche. Rapporti stabili di collaborazione tra i diversi attori favorisce la produttività del lavoro, mentre sul piano delle innovazioni si osservano legami più frammentati. Un punto su cui migliorare nell’immediato futuro, per l’aumento della produttività e per la crescita.

GALASSIA LAVORO

@fabiogermani

 

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