In meno al lavoro. Ma si lavora di più
Se i dati ufficiali confermano, di volta in volta, una certa stabilità del nostro mercato del lavoro è perché creiamo meno occupazione degli altri. Niente di più semplice per spiegare i bassi ritmi di crescita dei nostri livelli occupazionali. In generale, dunque, l’Italia crea meno posti di lavoro degli altri Paesi europei. Negli ultimi dieci anni (2007-2017) – sono le rilevazioni del Censis contenute nel rapporto realizzato in collaborazione con Eudaimon sul welfare aziendale – il numero di occupati in Italia è diminuito dello 0,3%. «È invece aumentato in Germania (+8,2%), Regno Unito (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell’Unione europea (+2,5%)». Nel caso italiano, poi, non possono preoccupare i divari territoriali: è proprio al Sud che si registra la quota maggiore di lavoro andato perso.
Nel 1997 i giovani di 15-34 anni rappresentavano il 39,6% degli occupati, osserva il Censis, nel 2017 sono scesi al 22,1%. Le persone con 55 anni e oltre erano il 10,8%, ora sono il 20,4%. Il divario è perciò anche di tipo generazionale: «I lavoratori anziani hanno un’alta presenza nella pubblica amministrazione (il 31,6% del totale, con una differenza di 13,5 punti percentuali in più rispetto al 2011) e nei settori istruzione, sanità e servizi sociali (il 29,6%, il 7,4% in più). I millennial invece sono più presenti nel settore alberghi e ristoranti (39%) e nel commercio (27,7%)».
E sul piano delle retribuzioni non va affatto meglio. Rispetto al 1998, nel 2016 il reddito individuale da lavoro dipendente degli operai è diminuito del 2,7% e quello degli impiegati si è ridotto del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%. Quindi se nel 1998 il reddito da lavoro dipendente di un operaio era pari al 45,9% di quello di un dirigente, nel 2016 è diminuito al 40,9%.
La beffa, tra quanti un lavoro ce l’hanno, è che si lavora di più rispetto a prima. Il 50,6% dei lavoratori, infatti, afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, quattro milioni lavorano di domenica e nei giorni festivi, 4,1 milioni lavorano da casa oltre l’orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l’orario senza il pagamento degli straordinari. A causa del lavoro, rileva ancora il Censis, «5,3 milioni di lavoratori dipendenti provano i sintomi dello stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi (per gli hobby, lo svago, il riposo), 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo».
Il welfare aziendale, di cui abbiamo scritto in diverse occasioni su queste pagine, potrebbe essere una soluzione. Alcuni dati: «Da un’indagine su 7.000 lavoratori che beneficiano di prestazioni di welfare aziendale risulta che l’80% ha espresso una valutazione positiva, di cui il 56% ottima e il 24% buona. Tra i desideri dei lavoratori, al primo posto c’è la tutela della salute con iniziative di prevenzione e assistenza (42,5%), seguono i servizi di supporto per la famiglia (servizi per i figli e per i familiari anziani) (37,8%), le misure di integrazione del potere d’acquisto (34,5%), i servizi per il tempo libero (banca delle ore e viaggi) (27,3%), i servizi per gestire meglio il proprio tempo (soluzioni per risolvere incombenze burocratiche e il disbrigo delle commissioni) (26,5%), infine la consulenza e il supporto per lo smart working (23,3%)».
(fonte: Censis)