Come è cambiato il mercato del lavoro dopo la crisi
Nel 2018 l’occupazione dell’Eurozona è aumentata al suo livello più elevato. Ma rispetto al periodo pre-crisi è mutata la sua “geografia”
di Redazione
I livelli occupazionali – in Europa e in Italia – se confrontati nell’arco di dieci anni – prendiamo come riferimento il periodo 2008-2018 – sono rimasti stabili o addirittura cresciuti. In realtà, come sappiamo, la crisi economica ha provocato scossoni tutt’altro che indifferenti. Agli anni di tracolli sono seguiti anni di marcata ripresa, contestualmente sono avvenuti cambiamenti epocali – in ambito tecnologico, ma non solo – nei diversi settori di attività economica per cui l’occupazione si è “trasferita” (meno manifattura, più servizi: trend che in ogni caso non è dipeso esclusivamente dalla crisi), sono cresciute le opportunità lavorative in ambiti tuttavia ancora difficili da inquadrare e spesso privi, o almeno sprovvisti in larga parte, delle dovute garanzie e tutele. L’unica costante, possiamo affermare, è il sostegno al reddito delle famiglie e alla spesa per consumi – pur con differenze da paese a paese nell’Eurozona – derivante dai miglioramenti registrati nel mercato del lavoro negli ultimi anni.
Nel bollettino economico della BCE pubblicato a dicembre si fa riferimento proprio a questi mutamenti. Nel terzo trimestre del 2018, si legge, il totale degli occupati nell’area dell’euro è stato superiore di 9,6 milioni di unità al valore registrato nel secondo trimestre del 2013, quando ha raggiunto il punto più basso durante la crisi. L’aumento dell’occupazione nel corso della ripresa ha più che compensato il calo registrato durante la crisi. In altre parole, è accaduto che l’occupazione nell’area dell’euro sia aumentata al suo livello più elevato, pari a 158,3 milioni.
Ma i valori non sono tornati esattamente a come li avevamo lasciati prima della crisi. È cambiata, soprattutto, la geografia. «L’aumento di 9,6 milioni nel numero di persone occupate nell’area dell’euro – spiegava a tale proposito la BCE – è simile a quello osservato nei cinque anni precedenti la crisi, periodo in cui venne registrato un aumento di 10 milioni». Ma «la differenza principale consiste nel fatto che la Germania adesso è responsabile di una percentuale notevolmente più ampia dell’espansione dell’occupazione rispetto a prima della crisi, mentre le quote relative degli altri principali paesi dell’area dell’euro, soprattutto la Spagna, sono diminuite. Ciò riflette in larga parte la forza relativa della crescita economica osservata in quei paesi nei due periodi. In maniera analoga, se nell’area dell’euro la Spagna era la principale meta dell’immigrazione prima della crisi, durante la ripresa il paese con il maggior afflusso di immigrati è stato la Germania. Anche Lituania, Austria, Portogallo e Slovacchia hanno aumentato il proprio contributo all’espansione dell’occupazione nell’area dell’euro nel corso della recente ripresa».
Se si guarda ai settori di attività economica, invece, i servizi di mercato hanno trainato la crescita dell’occupazione in entrambi i periodi, anche se hanno rappresentato una percentuale minore dell’espansione dell’occupazione complessiva durante la ripresa recente. Il contributo dato dal settore edile, invece, è stato inferiore durante la recente ripresa rispetto al periodo antecedente la crisi. L’occupazione nel settore manifatturiero, infine, ha registrato un più contenuto contributo positivo dal secondo trimestre del 2013, dopo essere diminuita nel periodo antecedente la crisi.
La crescita dell’occupazione si è equamente distribuita tra uomini e donne. Nel periodo antecedente la crisi, la componente femminile era lievitata nei livelli occupazionali, considerati il crescente tasso di istruzione e le riforme del mercato del lavoro che hanno favorito la partecipazione del segmento. Solo che poi, durante la crisi, quei livelli si sono stabilizzati e contemporaneamente è diminuita l’occupazione maschile e in quest’ultimo caso, pur registrando una risalita, deve ancora tornare ai livelli pre-crisi.