Il fallimento della politica degli annunci e delle passerelle
Ci sono tante immagini che descrivono il dolore e l’abbandono de L’Aquila dopo il terremoto: due di queste sono particolarmente significative perché danno l’idea di come lo Stato, quello con la S maiuscola ha disatteso ai suoi compiti. Le manganellate in testa a chi protestava per i ritardi e per una ricostruzione che tendeva a rimuovere e a dimenticare. Un’altra che dipinge un intervento dello Stato che ha puntato più sulla visibilità che sulla reale volontà di restituire la città ai suoi abitanti. Sono foto che raccontano di come l’emergenza sia stata l’occasione per trasformare un territorio, imponendo soluzioni che hanno, di fatto, cancellato una comunità. È il fallimento del progetto delle new town, di una città fatta di nuclei-satellite ma privi di servizi, infrastrutture, dove a mancare è il progetto: la ricostruzione non è servita a ricucire, a ricreare la coesione sociale, la vitalità di un sistema locale che non è fatto solo di palazzine ma di imprese, scuole, università, negozi, piazze. È il fallimento della politica degli annunci, dei grandi eventi internazionali, delle passerelle con capi di stato e star di Hollywood, della commozione televisiva che finisce nel momento in cui si spengono le telecamere. È il fallimento della politica che non è capace di governare, della pubblica amministrazione che non è capace di controllare come si costruisce e dove si costruisce, perché a crollare non sono stati solo i monumenti e gli edifici storici ma strutture recenti, realizzate da uno Stato che non sa e non vede. È il fallimento dell’emergenza diventata sistema economico: dove ogni cosa è trasformata in appalto e in lavori pubblici, senza adeguati controlli e capacità di programmare. Siamo ben lontani da un’idea di Stato che è capace di dare risposte, certe e concrete: dal concetto di civil servant siamo passati a quello di cricca servant e l’Italia, in tutta sincerità, non si merita questo.