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GOVERNO DEBOLE? GOVERNO STABILE!

di Mario Rossi

Dopo la vittoria dei referendum la legislatura doveva affrontare due passaggi fondamentali per la sua sopravvivenza, il raduno leghista di Pontida e la verifica parlamentare alla quale il governo Berlusconi si sarebbe dovuto sottoporre a seguito del rimpasto effettuato nel mese scorso. Oltre a questi due appuntamenti fondamentali ce n’era un altro che poteva rivelarsi non meno disagevole, la questione di fiducia apposta dal governo sul così detto Decreto Sviluppo.
Essendo state doppiate queste boe, è ora necessario tirare le somme per provare a capire realmente che cosa è accaduto. 
Il fatto che il governo sia ancora al suo posto

e che nella votazione sulla questione di fiducia, per la prima volta dallo strappo dei finiani, abbia ottenuto la maggioranza assoluta alla Camera con 316 voti a favore è un dato oggettivo da ascrivere a suo favore.
Ma avere i numeri in Parlamento non significa affatto avere una maggioranza forte e politicamente coesa, condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare l’azione di governo. Che la maggioranza sia debole e divisa è emerso in maniera clamorosa su una questione apparentemente secondaria, quella della spostamento dei ministeri al nord.
Dopo giorni di polemiche roventi tra Pdl e Lega si era trovata la quadra in un ordine del giorno presentato alla Camera. Un ordine del giorno che il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto non ha avuto il coraggio di porre in votazione, per paura che non fosse affossato dai franchi tiratori, dopo che l’aula aveva invece approvato ordini del giorno in senso opposto presentati da Pd, Idv e Udc.
La debolezza del governo è però apparsa evidente nell’ascoltare le parole pronunciate in Senato ed alla Camera dal Presidente del Consiglio. Due in particolare i passaggi chiave in questo senso. Il primo consiste nella tesi che una crisi di governo al buio non può essere aperta oggi a causa delle gravi difficoltà economiche internazionali e per la conseguente necessità di dar vita ad una manovra economica di ampia entità che metta in sicurezza i conti pubblici. Il secondo è la promessa di realizzare una riforma fiscale, ma a costo zero.
Chi conosce la politica sa che non è una scienza esatta, ma questo non significa che le parole non abbiano un significato. In questo senso l’immagine che meglio rappresenta il governo in questo momento è quella di un naufrago in balia di un mare in tempesta che si aggrappa ad un relitto che gli galleggia davanti. Il sostegno di quella tavola scongiura il rischio di affogare immediatamente, ma non quello di morire comunque in tempi più lunghi per il freddo o perché aggredito da uno squalo.
Utilizzare la crisi economica attuale, le difficoltà che travagliano i mercati internazionali e che espongono più di uno stato europeo al rischio di default, come bastone per tenersi in piedi significa essere chiuso in un angolo senza vie di uscita.
La congiuntura economica sfavorevole penalizza automaticamente chi in quel momento è al governo. A questa quota di dissenso fisiologico se ne aggiunge un’altra fetta rilevante provocata dalle misure impopolari che la crisi impone ai governi di adottare, e l’Italia per rispettare gli impegni contratti in sede europea deve tagliare 40 miliardi di euro entro il 2014.
Inoltre se Berlusconi utilizza la crisi per puntellare il suo governo, coerenza vorrebbe che la manovra economica da adottare ripartisse in maniera equilibrata le risorse da tagliare da qui al 2014, invece di limitarsi a manovrine di 3 miliardi per l’anno in corso, e 5 miliardi per il 2012, rinviando tutto il resto al 2013 e al 2014, ovvero ad anni in cui probabilmente ci sarà un governo diverso.
Promettere la riforma fiscale, e pretendere al tempo stesso che sia a costo zero, è poi la mossa della disperazione più pura. Non serve essere professori di economia per capire che oggi non è possibile ridurre le tasse e per il motivo più semplice del mondo. La leva fiscale, pur con la rilevante quota di evasione che esiste, equivale a dire soldi certi e facili. Risorse dunque irrinunciabili quando sei costretto a tagliare tutto il tagliabile per raggiungere il pareggio di bilancio.
Anche lo strumento legislativo individuato per realizzare questa presunta riforma consente immediatamente di capire che si tratta di una trovata tattica e non di un progetto concreto.
La delega legislativa, è lo strumento principe che si utilizza ogni qualvolta si voglia rimandare alle calende greche la realizzazione di una riforma, perché il Parlamento approva una legge che si limita ad autorizzare il governo a varare tutta una serie di provvedimenti successivi. Non è un caso che una delle poche riforme vere realizzate da questo governo, il taglio dell’Ici sulla prima casa, non sia stato affidato ad una delega legislativa, ma ad una legge ordinaria.
Tirando le somme, la previsione che emerge dai fatti di questi giorni è quella di un governo che, al netto di clamorosi incidenti di percorso o di improvvisi risvolti giudiziari relativi alla vicenda P4, probabilmente rimarrà al suo posto per buona parte del 2012 e con qualche possibilità di arrivare a scadenza naturale. Allo stesso tempo però il logoramento progressivo a cui si espone lo porterà ad affrontare le elezioni in una situazione di debolezza assai più grave di quella attuale.

 

 

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