La politica debole
Non è né la democrazia senza consenso, dei governi nazionali che si sono succeduti dalla fine della prima repubblica, né il consenso senza democrazia che sembra caratterizzare il governo locale dei super-sindaci, super-presidenti, super-governatori di cui si sente veramente il bisogno. La ricerca di un “uomo forte” che sappia farsi interprete di una “politica forte” è la risposta incompleta di un sistema che vive gli affanni dell’inadeguatezza. La sfida vera a cui la politica è chiamata è quella di sapersi ri-costituire in agenzia di senso e di orientamento. Anche se inespresso, o sottaciuto, o sussurrato, si sente il bisogno di una politica che sappia progettare e farsi carico di quella interpretazione/rappresentazione della complessità che la società richiede. E ciò è necessario proprio oggi, nel momento in cui il regno dell’economia volge al termine e la razionalità progressiva del neoliberismo si è dimostrata inadeguata. E qui si consuma l’altro paradosso: il sistema dei partiti invece di aprirsi alle nuove opportunità, facendosi interprete e rappresentante delle nuove istanze, puntando sulla qualità di una nuova possibile classe dirigente, ha avviato un processo avvitante ed oligarchico, sempre più centrato sulla figura dei leader. E i processi di selezione delle leadership, anche quando attingono nella cosiddetta società civile o quando cercano forme nuove di legittimazione come le primarie, si rivolgono ad élite contigue e accreditate dai leader stessi. Ed infatti, il sistema politico appare sempre più incapace di autoriformarsi e di rispondere alle nuove sfide, allontanandosi sempre più dalla società, proprio mentre quest’ultima si avvicina sempre più alla politica.