Pari opportunità. Il ritardo culturale dell’Italia
Quanto vale il mancato contributo delle donne nel mondo del lavoro? Una perdita del Pil pari al 7%, risponde Bankitalia. E in 60 anni quante donne hanno occupato ruoli di governo? Solo 75, come è stato sottolineato dalle professoresse Lorella Cedroni e Marina Calloni nel rapporto Le donne nelle istituzioni rappresentative dell’Italia repubblicana: una ricognizione storica e critica. Certo, negli anni di passi ne sono stati fatti, ma il percorso per una totale realizzazione della donna sembra ancora in salita. Il tasso di disoccupazione delle donne e dei giovani è il più alto in assoluto e le politiche sociali volte alle pari opportunità sono state eluse o mai del tutto realizzate. Basti pensare alla Strategia di Lisbona che mirava ad aumentare nell’Ue l’occupazione femminile dal 51 al 60 per cento entro il 2010. In Italia, una mera illusione.
Nel frattempo, però, nel mondo non mancano notizie positive. L’ultimo Premio Nobel per la Pace è stato assegnato a tre donne, al fine di sottolineare il diritto alla piena partecipazione al processo di costruzione della pace. E in alcuni Paesi islamici, seppur timidamente, sono state introdotte nei loro riguardi delle aperture impensabili fino a poco tempo fa. “Sono segnali importanti – commenta con T-Mag Valeria Ajovalasit, presidente di Arcidonna –. C’è finalmente una grande attenzione ai mutamenti del mondo. Le donne rappresentano un soggetto innovativo rispetto agli uomini che da sempre detengono il potere. C’è ancora molta strada da fare, di sicuro non abbiamo ancora raggiunto una completa democrazia paritaria. È il Vecchio Continente ad arrancare di più, nonostante la fase di difficoltà che sta attraversando. Non si risolve la crisi restando ancorati alle vecchie logiche”.
Nel nostro Paese, numeri alla mano, ciò è ancora più vero. Quando le ricordiamo i dati di Bankitalia, la presidente di Arcidonna non risparmia critiche alla classe dirigente italiana. “Molti premi Nobel per l’Economia del passato hanno sostenuto che una maggiore occupazione femminile avrebbe incrementato lo sviluppo. Purtroppo – osserva Ajovalasit – il nostro è un Paese ingessato, che non ha mai risolto i suoi problemi strutturali. Abbiamo dalla nostra un modo di intendere la partecipazione attiva non ancora moderno. La classe dirigente si forma per lo più attraverso meccanismi familistici, la cooptazione, mentre i migliori restano fuori dai giochi. Un’istituzione attenta dovrebbe intervenire dinanzi a una tale ingiustizia sociale e invece stiamo pagando lo scotto di una totale inerzia”.
Non è un caso se la presenza femminile nei ruoli che contano – pensiamo al governo – sia aumentata quando furono introdotte nel 1994 le cosiddette quote rosa. La successiva bocciatura della Consulta un anno più tardi provocò il calo sotto il dieci per cento delle donne negli apparati governativi. Recentemente, invece, è stata approvata dal Parlamento una legge che prevede una presenza femminile pari al 30% nei cda delle aziende quotate in borsa o a partecipazione pubblica. “È indubbio – afferma a questo proposito la presidente di Arcidonna – che per accelerare un processo culturale occorrono nuove ed efficienti risorse. Chi ha il potere intende tenerlo per sé. Dunque, mentre in Europa venivano adottate quelle che sarebbe più opportuno definire ‘norme antidiscriminatorie’, in Italia si perdeva del tempo prezioso. Le norme si rendono necessarie quando vi è un vuoto, quando non c’è una reale selezione. Dopodiché i processi normativi devono educare i comportamenti. Il movimento femminista, che è complesso e variegato, si è arroccato su diverse posizioni, in particolare sulla cultura paritaria. Ma nel tempo questa si è rivelata una sconfitta della storia del Paese. La crisi culturale che stiamo vivendo non incentiva i mutamenti. È quindi auspicabile che prevalga la saggezza di qualche figura istituzionale”.
Non da ultimi i dati sulla violenza sono oltremodo allarmanti. Gli ultimi raccolti dalla Casa delle donne di Bologna hanno evidenziato una crescita ininterrotta dal 2005. I casi di “femminicidio” sono aumentati nel 2010 del sei per cento rispetto al 2009. “Anche qui conta molto la fase di decadenza che incide sulle relazioni tra i generi. Se il messaggio che viene costantemente veicolato riflette il corpo quale elemento più importante della mente, a farne le spese sarà sempre il soggetto più fragile. E chi dispone di pochi strumenti può avere istinti quasi animaleschi arrivando persino ad utilizzare la violenza. Certamente le dinamiche all’interno della coppia sono cambiate, ma non strutturalmente. Sarebbe quanto mai opportuno – conclude Valeria Ajovalasit – uscire dallo schema secondo cui la donna che non lavora risolve il problema del welfare che non c’è”.
[…] a dire la verità) abbiamo interpellato recentemente Valeria Ajovalasit, presidente di Arcidonna. Qui potete trovare l’intervista. […]
[…] confermare un trend negativo che da sempre caratterizza la vita sociale del Paese. Su queste pagine abbiamo affrontato più volte il tema del gap di genere, tanto più consistente a livello istituzionale laddove […]