L’articolo 18? “Un falso problema”
Il governo ha preso un impegno, recentemente ribadito dal ministro Elsa Fornero: la creazione di posti di lavoro. I dati sulla disoccupazione – soprattutto quelli relativi a determinate categorie – sono allarmanti. Sotto i 35 anni, nel 2010, il numero degli occupati ha registrato un calo di 980 mila unità. E nella fascia di età 15-29 anni uno su quattro non lavora, secondo l’ultimo Rapporto del Censis.
“Nonostante le riforme degli ultimi anni con le leggi Treu e Biagi il nostro resta uno dei peggiori mercati del lavoro con bassissimi tassi di occupazione giovanile e femminile”, spiega a T-Mag Michele Tiraboschi, professore ordinario di Diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, allievo di Marco Biagi e presidente di Adapt. “La vera grande priorità – prosegue il suo ragionamento Tiraboschi – è il lavoro nero. Un quarto della economia del nostro Paese è sommersa e questo porta con sé un esercito di lavoratori non dichiarati. Che una riforma del mercato del lavoro sia necessaria mi pare evidente. Serve però una riforma vera, non una riforma che con la scusa di promuovere l’occupazione giovanile si occupa unicamente di demolire il vecchio diritto del lavoro senza prospettare nulla di realmente utile e innovativo”.
Negli ultimi giorni, però, la questione è stata dirottata quasi esclusivamente sull’eventuale modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E per quanto la stessa Fornero abbia proposto una “tregua” sul tema non sono mancate le polemiche a distanza con i sindacati. Eppure l’articolo 18 (l’istituto vieta il licenziamento senza giusta causa e obbliga il reintegro o il pagamento di un indennizzo per il lavoratore ingiustamente licenziato) non rappresenta la maggior parte dei lavoratori italiani. “Appunto – sostiene il professore, editorialista del Sole 24 Ore – l’articolo 18 è un falso problema. Se le imprese non assumono non è colpa dell’articolo 18. I problemi sono altri e sono ben più strutturali legati alla crescita. Servono poche leggi e più relazioni industriali con accordi aziendali o territoriali di produttività. Solo così potremo tornare ad avere nuova occupazione e salari più alti”.
Parlando di riforma del mercato del lavoro si fa riferimento spesso alla flexicurity (sicurezza e flessibilità). Il modello è quello danese. “La flexicurity – afferma Tiraboschi a tale proposito – è un mantra che consente di dire tutto e il contrario di tutto. Non vedo in ogni caso possibile trapiantare il modello danese in un Paese come il nostro che conosce, come ho detto, una economia sommersa tra le più fiorenti nel mondo industrializzato. Nell’economia sommersa sono non di rado coinvolti anche i percettori di sussidi pubblici che rendono culturalmente prima ancora che finanziariamente possibile quel modello”.
Donne e giovani, le due categorie che soffrono maggiormente le difficoltà del mercato del lavoro. Quali suggerimenti per sbloccare una situazione che denota un profondo ritardo nel nostro Paese?
“Dal 2003 al 2008 – risponde Tiraboschi – il mercato del lavoro è cresciuto in modo sostenuto consentendo un significativo incremento della occupazione femminile. Non servono misure specifiche per le donne ma più semplicemente occorre creare le condizioni per la crescita e lo sviluppo anche e soprattutto nel Mezzogiorno. Solo così potremo sostenere l’occupazione delle donne. Quanto ai giovani la vera leva è l’apprendistato da poco riformato con il consenso di tutte le parti sociali. La sfida alla precarietà e alla disoccupazione giovanile la si vince solo puntando su una formazione di maggiore qualità e sulla integrazione tra scuola e lavoro. Siamo un Paese – conclude il professore – con alta disoccupazione giovanile, ma dove anche molte imprese non trovano lavoratori con le competenze e le professionalità di cui hanno bisogno”.
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