Questione di credibilità
Mario Monti è e resta molto credibile. Nonostante una manovra fatta di solo tasse. E per di più ben poco originali. Nonostante i suoi ministri chiave si rimangino riforme annunciate nel giro di un’edicola. Nonostante i mercati, come era normale che fosse, sono lì dove li aveva lasciati il suo predecessore. Nonostante abbia dovuto fare il solito compromesso sulle liberalizzazioni. E cioè non farle. Nonostante abbia chiamato una manovra da pentapartito con l’altisonante titolo di «salva Italia» in pieno stile propagandistico pubblicitario berlusconiano. Ebbene, nonostante tutto ciò Monti resta credibile. Ed è normale e giusto che tale resti. Monti e il suo governo sono figli delle alte burocrazie europee che oggi dettano l’agenda delle politiche europee. Monti fa parte (per quanto ci riguarda non si dà molto peso alle suggestioni di cricche più o meno segrete) di un milieu borghese e milanese che ha un ottimo rapporto con la stampa «più credibile» che è e resta il Corriere della Sera. Ma insomma cosa avrebbero scritto a via Solferino se la manovra fatta di accise, bolli e tasse l’avesse fatta qualsiasi altro governo? Ve lo diciamo noi: avrebbero preso il magnifico articolo di Alesina e Giavazzi, che smontava la manovra, e ne avrebbero fatto la loro bandiera. E non un isolato caso di dissenso assistito. Ma ripetiamo: Monti è l’uomo giusto per questa fase. Ha lo stesso ruolo che ebbe Fénelon, il precettore dei re, nell’ultimo scorcio dell’Ancien régime: distruggere il suo sovrano.
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