Il peccato che (non) c’è
La scena può essere questa: in coda in una qualunque agenzia di scommesse o in una qualsiasi ricevitoria del lotto o una tabaccheria a caso per prendere un gratta e vinci, l’italiano medio legge il giornale e si indigna. C’è l’ultimo scandalo calcioscommesse. C’è l’ennesima puntata della vergogna dei calciatori corrotti. L’articolo racconta di Gervasoni che parla di tre partite di A truccate. Nella pagina accanto c’è un’enorme pubblicità di una società di betting, cioè di scommesse. È il grande paradosso nel quale viviamo. La cronaca ci mette di fronte alle storie di un manipolo di potenziali farabutti malati della stessa malattia che contagia milioni di italiani: il gioco. Siamo immersi nella cultura della scommessa, della vittoria facile, del sogno che si realizza, la vincita multimilionaria al SuperEnalotto o il vitalizio da seimila euro al mese per vent’anni di ‘Win for Life’.
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