Elite italiane
Fra aggiustamenti di convenienza e borbottii malmostosi, le prime settimane di lavoro del «governo dei tecnici» non hanno visto emergere una pacata riflessione sulle ragioni e sugli esiti dell’affidamento a una stretta cerchia elitaria del fronteggiamento della grave crisi che stiamo attraversando.
Forse non è inutile, avviando tale riflessione, rammentare che questa è la terza volta che nella storia repubblicana la dimensione tecnica assume potere e primato sociopolitico. La prima volta fu nell’immediato dopoguerra quando alcuni «tecnici» cresciuti all’ombra di Beneduce (i Menichella, i Saraceno, i Mattioli, i Cuccia) disegnarono sotto traccia significativi programmi di rilancio dell’industria, di liberalizzazione degli scambi internazionali, di sviluppo del Mezzogiorno. Non governarono direttamente perché la politica era allora ben forte e radicata; e perché furono così intelligenti da non sovrapporre la loro cultura e il loro potere ai partiti, che si sentirono così protagonisti della ricostruzione prima e del boom economico poi.
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