Fallimento della politica
Si è molto parlato, dopo la formazione del governo Monti, di abdicazione, sospensione o sconfitta della politica, e si è persino detto che la semplice esistenza di un ministero tecnico rappresentava uno strappo alla democrazia. Abbiamo sentito queste affermazioni anche negli scorsi giorni, dopo l’approvazione della riforma del mercato del lavoro. Ma si è dimenticato che questo governo non ha mai avuto i pieni poteri, ha fatto leggi grazie al voto del Parlamento e ha potuto contare, bene o male, sull’appoggio di una grande coalizione che ambedue gli schieramenti, anche se in momenti diversi, avevano già ripetutamente auspicato. I politici sono usciti da Palazzo Chigi e dai ministeri romani, ma le leve del potere sono rimaste, in ultima analisi, a Montecitorio e a Palazzo Madama. Ce ne siamo accorti quando, dopo la riduzione degli spread , i partiti sono usciti, forse troppo presto, dal prudente riserbo delle settimane precedenti e hanno considerevolmente modificato il testo del decreto sulle liberalizzazioni. Avrebbero potuto farlo se il governo tecnico avesse avuto il potere di gestire gli affari della Repubblica in stato d’eccezione sino alla prossima tornata elettorale?
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