Non si fermerà
Per capire quali chance effettive ha di radicarsi la tregua annunciata per oggi in Siria, è sufficiente porsi una semplice domanda. Esiste una sola buona ragione al mondo Basha el Assad dovrebbe dire sì alla trattativa?
Per cui uno spietato dittatore, un personaggio sicuramente spregevole ma probabilmente tutt’altro che sprovveduto dovrebbe acconsentire ad avviare un dialogo con i ribelli o anche soltanto prendere in seria considerazione la proposta di cessate il fuoco avanzata dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, l’ex Segretario generale Kofi Annan? La risposta, altrettanto semplice ma desolante, è no. Chi invoca la via negoziale (dalla Lega araba alle Nazioni Unite, dalle potenze occidentali al fronte composito degli oppositori), ognuno con la sua propria idea della Siria post-Assad, è infatti diviso su tutto, tranne che su una cosa: il dittatore se ne deve andare e il regime deve finire. Un’opinione ampiamente condivisibile, intendiamoci, ma una pessima base negoziale. Assad e il regime che rappresenta dovrebbero graziosamente farsi da parte «per il bene del Paese», un argomento assai poco efficace nei confronti di un tiranno che di fronte a richieste ben più moderate, tredici mesi fa, non esitò a far sparare sulla folla, a far torturare a morte dei bambini, gettando i presupposti della guerra civile odierna.
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