Come muta lo scenario della politica
Di questi tempi i sondaggi indicano una notevole propensione al non voto da parte dei cittadini. Leggendo i giornali non suonerebbe neppure troppo strano, viste le tante cronache giudiziarie che coinvolgono la politica e i casi à la Belsito (o Lusi, volendo). Guai però a ritenere quello attuale un processo nuovo. La transizione dipinta dalla presenza di un governo tecnico è, semmai, la punta di un iceberg bello grosso. E che va avanti da una decina di anni, almeno. A suggerirlo è Edoardo Novelli, professore di Comunicazione politica all’Università Roma Tre e autore di diversi volumi sul tema (tra cui La Turbopolitica, 2006, Rizzoli). “Tale fenomeno di crisi – afferma conversando con T-Mag – si manifesta ormai da dieci anni circa ed è dovuto da diversi fattori a partire dalle crisi delle ideologie, della partecipazione politica, della militanza. Di tutte quelle componenti, vale a dire, che hanno caratterizzato la Prima Repubblica”.
“In questo momento – spiega Novelli – le forze che compongono la maggioranza sono costrette a sostenere un governo di tecnici, chiamati a loro volta a sostituire i partiti, questi ultimi la controparte l’uno dell’altro fino a pochi mesi fa. In un quadro del genere è inevitabile assistere alle difficoltà, anche comunicative, degli attori politici. Avere un ‘nemico’ appartiene alla narrazione della politica. Basti pensare alle contrapposizioni, spesso aspre, tra berlusconismo e Lega da una parte, ‘comunisti’ dall’altra. Ora siamo usciti da una fase conflittuale che era coincisa con la commistione di più elementi sul piano etico e morale, penso ad esempio allo scandalo Ruby, le cui vicende giudiziarie che coinvolgevano il premier hanno di fatto condizionato l’agenda del governo. Ciò ha provocato una situazione di emergenza, conclusa in modo brusco come sappiamo”.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha auspicato fin da subito una maggiore responsabilità dei partiti nonché una dialettica il meno astiosa possibile anche dopo che verranno esauriti i compiti per cui i tecnici sono stati chiamati in causa. “Naturalmente – osserva il professore e giornalista – il governo Monti rappresenta una situazione temporanea. L’esecutivo non deve rendere conto ai cittadini del proprio operato non avendo ottenuto un mandato popolare né avrà l’incombenza, sempre che molti degli esponenti di governo rispettino quanto dichiarato in questi mesi, di riproporsi al giudizio degli elettori. A quel punto assisteremo ad una campagna elettorale che si spera torni ad essere una sana competizione tra i partiti dopo la pace convenzionale del momento. Ed è probabile che ciò accada poiché tante dinamiche si sono nel frattempo disinnescate”.
Intanto cadono alcuni baluardi della Seconda Repubblica e, soprattutto, cambiano le figure dei leader. Tanto le amministrative dello scorso anno quanto le più recenti primarie ne sono in qualche modo un esempio. “Ma in questo caso – afferma Novelli – è meglio dire che a vincere sono i candidati in grado di mobilitare e di coinvolgere le persone che sembrano sfuggire da quelle che sono candidature scontate o di apparato. Certo è che anche le leadership stanno mutando”. Inevitabile il riferimento al Pdl e alla Lega Nord. “In pochi mesi – prosegue Novelli la sua disamina – abbiamo assistito al cambiamento di due modelli di leadership per alcuni versi antitetici, per altri piuttosto similari. La Lega Nord è stata sempre un movimento popolare, spesso avverso al medium e attento alla militanza. Al contrario Forza Italia, riflessa poi nel Pdl, è stato un contenitore orientato al marketing, dunque mediatizzato. Eppure questi due partiti avevano alcuni punti in comune: entrambi sono stati costruiti da un capo carismatico, il conseguente culto della personalità dei leader, il fondamentale ruolo della famiglia, l’immagine del corpo e della virilità seppur mostrata in modo diverso, il difficile rapporto con i processi di democrazia interna. È ovvio che dopo gli ultimi colpi di coda osserveremo un percorso di transizione che nella Lega potrà rivelarsi più ostico”.
Quale futuro per il Carroccio, quindi? “È difficile da immaginare – risponde in conclusione il professore –. Probabilmente il movimento mirerà ad una diversa immagine politica dopo il ‘bossismo’. Non è da escludere il ritorno al centro della scena leghista di alcuni temi cari allo zoccolo duro, quali la secessione, la Padania. Negli anni la Lega aveva tuttavia già mostrato segni di cambiamento ed un eventuale percorso all’indietro potrebbe perciò rinvigorire il modello indentitario della base, ma allo stesso tempo ipotecare una evidente perdita di consensi. Del resto la Lega non è mai riuscita a tramutare le proprie istanze in risultati concreti”.
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