La ricetta? “Ridurre la pressione fiscale”
Tasse, disoccupazione e debito pubblico. I dati sull’andamento dell’economia italiana delineano un quadro sempre più preoccupante. Se da un lato è vero che lo spread è sceso di oltre 170 punti rispetto a un paio di mesi fa e ora oscilla attorno ai 400 punti, dall’altro lato la disoccupazione è al 9,3% e sale al 32% se si considera soltanto quella giovanile.
L’Istat ha inoltre calcolato che gli inattivi nel 2011 sono stati circa 3 milioni e l’Osservatorio della Cgil indica un +21% di ore di cassa integrazione dall’inizio dell’anno. A frenare la crescita incide soprattutto l’elevata pressione fiscale, arrivata ormai al 45%. Come spiega Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, “aver puntato praticamente tutto sul versante delle entrate ha permesso al governo di superare un momento molto difficile per il bilancio pubblico però ha impedito ogni possibilità di crescita immediata e futura”.
Ad aggravare la situazione è anche il crescente numero di suicidi. Secondo l’Eurispes tra il 2010 e il 2011 ben 14mila persone si sono tolte la vita e “ciò che di nuovo si presenta in maniera preponderante per quanto riguarda la situazione italiana sul tasso di suicidi – si legge nel rapporto Eurispes – è la sua relazione con la condizione economica definita all’interno di una crisi generale del sistema produttivo, intrecciandosi a sua volta in modo sistematico anche con gli alti tassi di disoccupazione nel Paese”. Dall’inizio dell’anno ad oggi, invece sono ben 24 gli imprenditori che non hanno retto alla crisi e si sono tolti la vita, ma questo fenomeno non è da addebitarsi esclusivamente all’aumento delle tasse a cui le imprese sono soggette. “I suicidi – spiega Nicola Rossi – dipendono anche dall’atteggiamento che il sistema bancario ha assunto e dalla difficoltà che la burocrazia frappone all’imprenditore. In un momento difficile come questo non c’è nulla che aiuti lo sforzo dell’impresa. I concorrenti fanno i concorrenti, i clienti pensano di poter ritardare all’infinito i pagamenti, i fornitori pensano di poter essere pagati immediatamente, la burocrazia, le banche e il fisco interpretano in maniera molto rigida il loro mestiere e quindi l’imprenditore è solo e da solo fa una battaglia che è di tutti”.
Secondo Rossi se si vuole rilanciare la crescita e abbattere il debito pubblico, che al momento ammonta 1,935 miliardi di euro, occorre perciò ridurre le tasse: “Quello che bisognerebbe fare non è attuare nuovi sgravi, ma servirebbe una riduzione generalizzata della pressione fiscale, possibilmente in più direzioni attraverso tagli e dismissioni degli asset pubblici, ma qui entra in gioco la cultura di governo che non sembra favorevole a misure di questo tipo”.
Un’operazione di questo tipo non risolverebbe definitivamente il problema del debito ma “anche se si trattasse di 100-200 miliardi di euro, cifre paragonabili alle dismissioni di vent’anni fa – afferma il senatore ex Pd -, porterebbero un vantaggio cospicuo al bilancio dello Stato perché con i tassi di interesse correnti si risparmierebbe non poco dal punto di vista dell’onere del servizio del debito”.
E la riforma dell’articolo 18 può aiutare le imprese a creare maggiore occupazione? “L’imprenditore vive di certezze – conclude Rossi – e questa riforma non offre certezze di nessun tipo perché l’area continua a rimanere legata all’intervento del giudice. Lo stesso vale per i giovani che al momento nemmeno loro hanno certezze e a volte mi chiedo come sia stato possibile arrivare a una soluzione come questa. La riforma Ichino è invece una proposta sostenuta anche da posizioni liberali”.