“La Padania non esiste, Zemanlandia sì”
Trasversale alle varie zone d’Italia e d’Europa, ma soprattutto alle tante epoche storiche. Un circo itinerante che, senza alcun proclamo, si sposta di città in città, conquistando, con effetti pirotecnici, grandi e piccini. A capo di questa carovana c’è un giostraio, che con sé, lungo tutti i suoi viaggi, porta la magia e i segreti della sua terra di origine, la Boemia. Zdenek Zeman.
E allora che ci si trovi su un assolato tavoliere, all’ombra del Colosseo o sulle pianure abruzzesi, il risultato è sempre lo stesso: divertimento assoluto. Un fiore, incurante di venti e temperature, capace di far attecchire le proprie radici in ogni terreno e crescere più profumato e rigoglioso di prima. Quasi una magia. L’ultima delle quali riuscita sulle rive dell’Adriatico. Pescara. La cittadina dove ora ha piazzato le sue tende Zemanlandia.
Nel momento esatto in cui il mondo del pallone inizia a mal tollerare il calcio totale del Barcellona e a riscoprire il catenaccio all’italiana che puntato con vanto sul petto, come fosse una spilla, ha portato sul tetto d’Europa il Chelsea di Roberto Di Matteo, c’è qualcuno che prova ad attirare l’attenzione sul Delfino dei miracoli costruito dal boemo. Una promessa mantenuta, più che una proposta di gioco. Quella del bel calcio e del divertimento.
Ma dov’è il laboratorio dell’alchimista? Dove ha cominciato Zeman ad agitare i suoi alambicchi, nel tentativo, riuscito, di sintetizzare l’essenza di questo sport? Precisamente a Palermo. Nell’agosto del 1979. Dopo aver conseguito una Laurea all’Isef e aver conquistato il patentino da allenatore professionista a Coverciano, Zeman si siede sulla panchina delle giovanili rosanero, fortemente voluto da Cestimir Vikpalek. Suo zio prima che un allenatore ed ex calciatore di Parma e Juventus. Il boemo rimarrà in Sicilia, tra Palermo e Licata, bene sette anni: Zemanlandia può aprire i battenti.
Guardando le sue squadre giocare, il pubblico non può evitare di fare due cose: divertirsi e farsi un milione di domande. Il suo modulo è spregiudicato e utilizza in maniera sistematica, quasi monomaniaca, una tattica del fuorigioco ai limiti della legalità. Sono, però, soprattutto i suoi metodi di allenamento a destare scalpore. I suoi giocatori non prendono integratori, di nessun tipo e si allenano su campi sterrati, utilizzando i gradoni dello stadio. Mai in palestra, perché “la natura è molto più bella del parquet”. Chi impiega meno tempo a fare i 1000 metri riceve una birra in premio. Chi beve il caffè, invece, viene punito con ulteriori giri di campo. Quella “strana” bevanda nera è vietatissima.
Le sue squadre vincono, divertono ma soprattutto stupiscono. In un’amichevole precampionato, il suo Parma, che si sta preparando per il campionato di Serie B, batte il Real Madrid per 2-1, richiamando l’attenzione dei principali media europei. I primi successi veri, però, arrivano alla guida di quello che sarà soprannominato il Foggia dei miracoli: il tridente composto da Baiano, Rambaudi, Signori porta i pugliesi prima in Serie A, poi addirittura ad un passo dalla qualificazione in Coppa Uefa, sconfitto e sorpassato dal Napoli di Marcello Lippi all’ultima giornata di campionato.
E’ il momento del salto. Cragnotti lo vuole per guidare la sua ambiziosa Lazio, che desidera vincere e lo farà, ma qualche anno dopo e proprio senza Zeman. Sebbene con calciatori scoperti e lanciati dal boemo, Nedved e Nesta su tutti.
Come spesso accade nella vita, anche nel calcio quando il lavoro tende a deluderti, arriva l’amore. La Roma. Quasi un palindromo. Certamente la squadra che più è rimasta nel cuore di Zeman, tra le più di quindici allenate.
Le due stagioni in giallorosso, però, più che per il grande spettacolo regalato al pubblico dell’Olimpico, per i quattro derby persi o per la preparazione di una squadra, di un ambiente intero, alla vittoria dello scudetto del 2001, saranno ricordate per l’attacco diretto al mondo del calcio.
Per la prima volta nella storia di questo sport, infatti, un suo componente decide di rompere il muro dell’omertà e raccontare tutto. L’abuso dei farmaci, l’ingresso sempre più invasivo delle banche, la capacità di alcuni dirigenti di pilotare mercato e decisioni arbitrali. Zeman parla a ruota in un’intervista all’Espresso. Il pallone si indigna, ma poi indaga. Il vaso di Pandora è scoperchiato, il boemo è costretto ad emigrare.
Nonostante Calciopoli e il processo Agricola, infatti, abbiano dimostrato, con i fatti, la bontà e la veridicità delle denunce di Zeman, l’allenatore ceco sarà riaccolto in Serie A con difficoltà: prima la Turchia, poi Napoli e Avellino, infine il ritorno a Lecce nel 2005. Zemanlandia prova a riaccendere qualche luminaria e a riaprire qualche attrazione. Ma è davvero poca cosa rispetto allo sfarzo mostrato durante la metà degli anni ’90. Nonostante tutto i pugliesi si salvano e lanciano anche qualche giovane di belle speranze come Vucinic e Bojinov. C’è anche il tempo per le solite, eclatanti, forme di protesta. Durante Lecce-Parma, ultima di campionato, arbitro Massimo De Santis, Zeman si accorge che il risultato è combinato. Lascia la panchina e per il resto del match guarda la tribuna dando le spalle al campo. Quella del Via del Mare sarà una delle partite incriminate in Calciopoli, la ragione principale della radiazione del direttore di gara di Tivoli.
Il resto è storia recente. Zeman, dopo l’avventura in Serbia alla guida della Stella Rossa, vuole smettere. Schifato e disamorato. Si presenta Casillo, il presidente del suo primo Foggia: lo vuole riportare sul tavoliere, in Lega Pro. Il boemo non può dire di no e accetta. E in Puglia, nel suo habitat perfetto, è di nuovo Zemanlandia, con tutte le sue giostre, così come a Pescara l’anno successivo. Chiamato per salvare il Delfino senza patemi, l’allenatore ceco riesce a portarlo in A direttamente e affidando il timone della propria barca a tre giovanissimi: Insigne, Immobile e Verratti. Sessantre anni in tre, due in meno rispetto a quelli di Zeman.
La morte di Franco Mancini, amico prima che collaboratore, quella di Piermario Morosini a Livorno proprio durante la gara contro il Pescara ci hanno consegnato l’immagine precisa anche del boemo “uomo”. Lo stesso che nel post partita della gara contro la Sampdoria, quello della promozione in Serie A, piange più di dolore per le assenze, che di gioia per le conquiste.
In fondo in quel pomeriggio piovoso, a Marassi, erano in tanti a commuoversi anche sulle tribune. “C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo”.
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