Viaggio tra il tifo organizzato in Italia
Hanno avuto un loro ruolo, occupato il proprio spazio nel mondo del pallone e tuttora continuano a farlo. Gli ultras sono una cruda realtà che ha radici lontane. “Il fenomeno ultrà nasce negli anni ’60-’70 come un fenomeno aggregante e spontaneo attorno alla propria squadra del cuore. Ma cambia segno nel corso degli anni, tanto più si fa organizzato, più entrano interessi di varia natura: politici ed economici”, spiega a T-Mag Diego Mariottini, giornalista ed autore di diversi saggi sul fenomeno ultras tra i quali Tutti morti tranne uno – Morire di tifo in Italia: dalle origini a Gabriele Sandri e Ultraviolenza-Storie di sangue del tifo. Siamo di fronte ad “una sorta di contropotere, un agente provocatore. Frange del tifo che hanno acquisito potere di mediazione per cui bisogna scendere a patti con gli ultrà perché questi sono collusi con la politica. Una forza teoricamente antagonista al sistema, ma che in fondo fa il gioco del sistema a tutti gli effetti”.
Nel Bel Paese, dove un tempo si giocava quello che era considerato il campionato più bello del mondo, le realtà ultras nelle grandi metropoli si assomigliano molto. “Fatte le dovute differenze, le situazioni – sostiene Mariottini – sono abbastanza simili. A Napoli, ci sono state infiltrazioni di camorra. Durante il periodo d’emergenza rifiuti, gli ultrà sono stati usati per fomentare disordini, scontri con le forze di Polizia. Da forza ideale che era all’inizio, il fenomeno ultrà ora sembra offrire bassa manovalanza al potere di tutti i livelli: potere politico, criminale e di varia natura”.
Ma la situazione non è sempre stata questa. Ad un certo punto il fenomeno ha cambiato pelle: da realtà aggregante, il tifo organizzato diviene più complesso trasformandosi in altro. Il punto di rottura si ha “verso la seconda metà degli anni ’70, quando l’estrema destra trova nel tifo calcistico un punto d’aggregazione molto importante. E’ lungimirante perché – spiega Mariottini – capisce l’importanza del tifo. Una cosa che la sinistra d’allora non comprende. Addirittura, si parlava dello sport come un passatempo borghese”. I ‘compagni’ “non capiscono, invece, l’importanza dello sport sul piano della comunicazione. Oggi come oggi, se vuoi mandare un messaggio a tutto il mondo, fai dire quella cosa a un calciatore. La destra prende il suo spazio e il mondo politico se ne serve, perché sotto il controllo politico o politicizzato delle curve si possono evitare gli incidenti peggiori e tenere a bada i cosiddetti cani-sciolti. Molte volte, scendendo a patti si riesce a scongiurare il peggio. Negli anni ’70, gli stadi erano teatro di scontri. Nella seconda metà degli anni ’70, la situazione si tranquillizza. Quando c’è il morto, è perché chi gestisce la curva ha perso il controllo. Ed è proprio in quel periodo che il potere degli ultrà viene legittimato: vengono regalati loro dei biglietti, ad esempio. Ma le società non si rendono conto che quello diviene una fonte di introito molto importante per gli ultrà e nei momenti di crisi si viene a creare un conflitto con il tifo organizzato, perché queste attività redditizie tornano appetibili alle varie società”.
Dagli anni ’80 in poi, il fenomeno ultrà diventerà una presenza fissa e molto spesso ingombrante nel mondo calcistico italiano. Scontri, episodi di violenza che alcune volte si concludono tragicamente. Antonio De Falchi, Vincenzo Spagnolo, Sergio Ercolano, Filippo Raciti perdono la vita negli stadi. Lo Stato risponde come può e come meglio crede con nuove misure di sicurezza, tornelli, steward, biglietti nominali, trasferte a rischio vietate alle tifoserie ospiti.
Ma anche con altri mezzi come la tessera del tifoso, uno strumento che però “non ha cambiato nulla”, sostiene Mariottini.
“Il problema degli scontri – spiega – non riguardava lo stadio, ma il fuori. Hanno burocratizzato un’area, dove il controllo in qualche modo già c’era grazie al biglietto nominale. Se c’è un buon servizio d’ordine, dentro lo stadio le tifoserie avverse non si incontrano mai. Il problema è quando si incontrano fuori dagli impianti, e lì non c’è tessera del tifoso che tenga. La tessera del tifoso è servita per fare una sorta di schedatura e per far fare una carta di credito al tifoso. Ora, di fatto, la tessera la stanno abolendo, ma se ci fossero stati tutti questi benefici probabilmente non l’avrebbero mai tolta”.
Per concludere chiediamo a Mariottini un commento su un episodio piuttosto recente: Genoa–Siena dell’ultimo campionato, quando un gruppo di ultras genoani costrinse l’arbitro a sospendere la partita e impose ai giocatori rossoblù di togliersi la maglia da gioco. “Quello di Siena–Genoa non è l’episodio peggiore, se si pensa che i tifosi di Lazio e Roma sono riusciti nel 2004 a far sospendere e rinviare una partita. Si è trattato – sostiene Mariottini – dell’ennesima resa dello Stato nei confronti di chi pensa di dettare legge sugli spalti, dagli spalti e fino al campo”.
Perché in fin dei conti, “il fenomeno ultrà non è stato debellato o quanto meno ridotto nella sua entità. Purtroppo, sembra non esserci una volontà politica di sanare questa questione”.
Ottimo.