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“Vi spiego cosa è il bosone di Higgs”

Intervista al professore di Astronomia e Astrofisica e preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell'Università di Bologna, Bruno Marano
di Fabio Germani

Ian Low è un fisico statunitense ed è convinto che quello scoperto e annunciato con toni enfatici alcune settimane fa dal Cern di Ginevra non sia il bosone di Higgs, conosciuto anche come “particella di Dio”, bensì “un impostore”. C’è chi ha derubricato la posizione dello scienziato americano a mera “invidia accademica”, fatto sta che Low non ci ha pensato due volte a sconfessare gli esperimenti del Cern. In quei giorni, colmi di spiegazioni e guide pratiche per fisici improvvisati, si è tentato di capire cosa fosse il bosone di Higgs (che ricordiamo prende il nome da Peter Higgs, scienziato britannico il quale nel 1964 ne aveva previsto l’esistenza). Qualcuno è riuscito a spiegarlo bene, altri meno. Anche perché tentare di descriverne l’essenza non è impresa facile. “Oltre a consentire una ‘interpretazione unificata’ delle forze e delle particelle – spiega a T-Mag Bruno Marano, professore ordinario di Astronomia e Astrofisica e preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università di Bologna –, il bosone di Higgs ‘spiega’ la massa delle particelle. Il problema della massa nell’universo è una questione aperta: sappiamo di essere ‘sensibili’ ad una frazione minima della massa che giustifica i moti osservati nelle galassie. Vediamo e ‘sentiamo’ solo qualche percento di ‘quello che c’è’. La soluzione può senz’altro venire da una migliore comprensione dei meccanismi di interazione delle particelle, di cui il bosone di Higgs, altro punto importante, è un mediatore fondamentale”.
“Tenterò con un paragone – prosegue nella sua analisi il professor Marano –: un quadro dei componenti subnucleari della materia appare governato da un sistema di simmetrie (e da loro violazioni) cui mancava finora un elemento fondamentale, ipotizzato ma non osservato. Un poco come vedere un palazzo oltre degli alberi che ne nascondono la base: per logica qualcosa deve reggerlo sul terreno. Questo ‘qualcosa’ ci deve essere e posso fare delle ipotesi su come è costituito, ma la struttura dell’edificio non mi è nota e decifrabile finché non ne osservo questo elemento fondamentale. Per esempio e paradosso, l’edifico potrebbe ‘volare’ e dovrei ricorrere ad una diversa teoria sul suo modo di sostenersi”.
Una volta compreso, più o meno, di cosa stiamo parlando, quale valore attribuire alla scoperta? Il bosone può cambiare la nostra vita? “È un fatto – afferma Marano – che la comprensione dei fenomeni naturali cambia la nostra esistenza, anche quando i fenomeni sono lontani dalla vita quotidiana. Per fare un esempio facile, la scienza che ha portato all’eliocentrismo ha mutato la nostra vita, anche se si riferiva a fenomeni lontani. Lo stesso si può dire per la fisica quantistica. La conoscenza profonda dei fenomeni naturali è un patrimonio che ‘rende’ sul lungo termine”.
Con il professore proviamo a fare un passo indietro. La parola “scoperta” fu abusata ai tempi dei “neutrini più veloci della luce”, salvo poi verificare in successivi esperimenti circostanze che di fatto smentirono i roboanti annunci di allora. Quando si può parlare di scoperta, dunque? Il professore distingue ciò che è “quantità” da ciò che è “qualità”.
“Semplificando – risponde perciò il professore –, nel primo caso giocava la ‘quantità’ di un fenomeno, anomala rispetto a quanto noto. Rendere noto un dato anomalo, dopo avere invano tentato di trovare in casa spiegazioni ‘normali’, è un modo di procedere corretto. Si chiamano altri a verificare quanto fatto e a trovare l’eventuale baco. Purtroppo il desiderio di sensazionalismo, forse presente già nella comunicazione di parte scientifica, ma enormemente amplificato nella società, distorce spesso questo processo, che è in sé fisiologico e patrimonio di una scienza aperta: espongo i miei dati alla valutazione e alla critica dei ‘pari’. Nel caso del bosone, siamo davanti alla ‘qualità’ del fenomeno, basato ad oggi su una statistica di eventi ancora bassa, ma che già, sulla base di standard consolidati, giustifica l’affermazione di un alto livello di probabilità che la particella sia positivamente osservata. Corretto quindi annunciare il fatto. Quanto all’enfasi, ai paragoni più o meno strillati, alle definizioni più o meno azzeccate, è questione di gusti. I fatti e i dati mostrati non cambiano per questo”.
E adesso? Cosa aspettarci dal futuro? “La conferma del modello unificato è un passo importante per capire l’origine dell’espansione ed evoluzione dell’universo. Lo si era detto da anni. Il clamore mediatico ha molto spesso accompagnato scoperte fondamentali. Galileo parlò di Sidereus Nuncius: tempi e mezzi diversi, ma lo spirito è lo stesso. Ci sono poi altri due elementi da prendere in considerazione. Ottenere finanziamenti per costruire un grande apparato e tenerne per pochi i risultati è, nel modo di oggi, improponibile e socialmente inaccettabile, quando non generi addirittura sospetti sulla natura pacifica dell’attività. E inoltre – conclude il professor Bruno Marano – c’è la fierezza di un risultato raggiunto in un’ttività coordinata a livello europeo che mostra, anche per altri campi, quale può essere tuttora la potenzialità del continente nelle alte tecnologie se unisce in modo organico le molte forze e i molti cervelli di cui dispone”.

 

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