Usa 2012. La corsa alla Casa Bianca | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2012. La corsa alla Casa Bianca

Intervista al giornalista e blogger, Andrea Mancia
di Fabio Ferri

La strada più breve per arrivare alla Casa Bianca è l’autostrada numero 4, in Florida. Su questo pezzo d’America, che va da Tampa a Daytona Beach, forse si deciderà chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Un microcosmo osservato con attenzione da entrambi gli schieramenti, perché potrebbe indicare chi vincerà nello stato della Florida (che si porta dietro una dote di 29 voti): uno dei principali swing states nelle elezioni delle 6 novembre. Con Andrea Mancia (giornalista e blogger) abbiamo fatto il punto di come il Grand Old Party, cioè i repubblicani, stiano preparando questa campagna. Il ticket Romney-Ryan, è riuscito finora a raccogliere più fondi del presidente uscente, di norma avviene il contrario. Barack Obama deve rispondere del suo mandato, avvenuto durante una pesante crisi economica, con il fronte della politica estera che ultimamente si è surriscaldato. I sondaggi danno i due schieramenti quasi appaiati, a decidere chi sarà il quarantacinquesimo presidente Usa saranno loro: gli swing states.

Perché è così importante la Florida?

Il nord della Florida è considerato profondo sud in senso stretto potrebbe benissimo essere un pezzo di Alabama o Georgia. Ha una forte comunità nera ma i bianchi che sono la maggioranza votano compatto repubblicano. Nel nord Romney vince al 100%. Il sud invece ha una fortissima migrazione ispanica. Ci sono grosse città (favorevoli ai democratici), e luoghi di villeggiatura per facoltosi in pensione. Tutti loro votano democratico. La parte centrale della Florida, a cavallo dell’autostrada numero 4 che va da Tampa ad ovest a Daytona beach ad est, passando per Orlando è considerata la swing zone dello swing state. Di solito infatti chi vince in questa zona vince anche in Florida. In cui la popolazione in media è un po’ più vecchia della media nazionale: questo in genere può favorire i repubblicani. Dall’altro canto essendoci un grosso scontro sull’Obamacare e sul Medicare, che i repubblicani vogliono tagliare mentre i democratici vogliono ampliare, bisogna vedere come reagiscono le fasce più anziane della popolazione. Inoltre la Florida, dopo Israele, ha la comunità ebraica più numerosa. Obama rispetto al 2008 ha perso 20 punti tra gli elettori ebrei, che per tradizione votano democratici. C’è da dire poi le dichiarazioni della presidenza all’indomani degli attentati alle ambasciate in Nord Africa sono stati confusi, poi è più di un mese che Obama non riceve il primo ministro israeliano.

Negli Usa oltre ai sondaggi d’opinione si guardano i prospetti demografici, per capire il voto dei cosiddetti swing groups.

Da un punto di vista di gruppi etnici la situazione è molto cristallizzata gli afroamericani votano per Obama, già prima di lui votavano per i democratici, gli ispanici in proporzione 2 a 1 o anche 3 a 1, dipende dal candidato repubblicano, per i democratici. I veri swing groups sono i bianchi. La classe lavoratrice bianca, i meno abbienti, si stanno spostando lentamente verso i repubblicani. Questo spostamento è contemporaneo ad un aumento dell’immigrazione, soprattutto tra i “latinos”. Il punto è vedere quale dei due flussi demografici prevale sull’altro. Il successo di Obama nel 2008 è che ha portato nelle urne in numero maggiore gli afroamericani. Se ci riuscirà ancora, in una situazione molto diversa rispetto all’ultima elezione però, vincerà. Questo a livello nazionale. Più che convincere il 6% di indipendenti però questa è un’elezione in cui vincerà chi riuscirà a portare i suoi a votare. Al momento sono quasi pari. Fino alle convention, sotto il profilo motivazionale erano in vantaggio i repubblicani che avevano vinto le elezioni del midterm nel 2010. I democratici sembravano meno convinti. Un po’ per i media un po’ per la situazione generale la situazione si sta riequilibrando da questo punto di vista.

Paul Ryan, candidato repubblicano alla vicepresidenza potrebbe essere la vera sorpresa di queste elezioni, e l’asso nella manica del GoP.

In genere il candidato alla vice presidenza se perde si è bruciato la carriera per sempre. Paul Ryan ha un capitale politico per cui si può permettere di perdere ed essere il capo del ticket repubblicano nel 2016. Non solo perché è giovane, ma perché ha una forte credibilità verso il suo elettorato. La stampa lo ha tartassato perché lo ha visto come un pericolo. Ma lui resiste, anche perché cura la comunicazione molto bene, è stato eletto 7 volte alla Camera e conosce il meccanismo dei giornalisti di Washington. Il Wisconsin [Stato di Ryan ndr] in cui Obama vinse con circa 14 punti di vantaggio, adesso è considerato da tutti uno swing state, anche grazie a Ryan. Ha scritto per il GoP il contro-budget negli ultimi due anni, è uno che è abituato a che fare con i dettagli: rispetto agli candidati ha le idee più chiare.

I repubblicani puntano sull’economia, i democratici si diritti civili. A cosa sono più interessati gli elettori?

I segmenti di popolazione che tengono ai diritti civili ne fanno un tema portante. Ad esempio per gli ispanici, che nel 2008 erano il 12% della popolazione, l’immigrazione è il tema politico. La difficoltà di Obama è che il suo partito è composto da micro coalizioni che magari non si parlano tra loro ma sono molto motivate. Lui va a San Francisco e parla dei diritti dei matrimoni gay, va in Alabama dei diritti della comunità nera. È un messaggio disomogeneo. Al contrario dei democratici che segmentano i messaggi rispetto agli elettori, i repubblicani fanno un discorso univoco che può piacere o meno.

Chi è favorito in questo momento?

Obama è in vantaggio perché dentro la sua coalizione oltre i neri, i latinos, single e gay: c’è tutta la stampa. Questo è un ostacolo molto difficile da superare per qualsiasi candidato repubblicano. Ne è la riprova che all’indomani dell’attacco del consolato americano in Libia, invece di parlare della politica estera di Obama, i giornali in Usa hanno aperto con la reazione di Romney, che ha politicizzato lo scontro. I repubblicani sono ingenui se non mettono in conto che la stampa è con Obama. Tolta Fox News che è filo repubblicana, tolte le radio i cui speaker sono a maggioranza di destra e qualche sito sparso sulla rete: il resto dei media è schierato con Obama. Ma più che su di un candidato è in gioco una visione dell’America. La crisi c’è perché i grandi banchieri e la classe finanziaria hanno messo sul lastrico il Paese, oppure perché dopo una congiuntura internazionale difficile la ricetta classica della sinistra non funziona. Questa è la domanda a cui devono rispondere gli elettori.

L’infografica è stata elaborata prima del terzo dibattito presidenziale che si è tenuto il 22 ottobre.

 

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