La “rivoluzione culturale” di Topolino
E’ stato uno dei più grandi rivoluzionari che il ‘900 abbia conosciuto. La sua fu una rivoluzione culturale, è vero. Ma un topo così il mondo non lo aveva mai visto. E come tutti i grandi eventi del XX secolo, anche Topolino irruppe sulla scena negli ultimi mesi dell’anno. A differenza di altri, scelse novembre. L’anno, invece, era il 1928.
Noi, qui in Italia, lo abbiamo conosciuto fin da subito come Topolino. Erano tempi particolari, c’era il regime e tutto doveva essere italiano o italianizzato. Tuttavia, nonostante tutto, Mickey Mouse dimostrò da subito di essere un tipo veramente speciale. Nel 1938, le direttive imposte da Filippo Tommaso Marinetti agli editori in tema di letteratura per ragazzi e che prevedevano “l’abolizione completa di tutto il materiale d’importazione straniera e l’aumento dei testi scritti rispetto all’illustrazione”, non vennero applicate agli eroi Disney, “per il loro valore artistico e per la loro sostanziale modernità”. Questo perché, ha raccontato l’allora alto funzionario del ministero Ezio Maria Gray, Mussolini nel vagliare la lista dei fumetti da censurare, allegò a quest’ultima una postilla autografata con su scritto: “Eccetto Topolino”.
In Italia, a dir la verità, Topolino venne diffuso fin da subito, dal 1929. I film riscossero un gran successo, tant’è che già nel marzo del 1930, vennero tradotti in italiano i primi fumetti, pubblicati sull’Illustrazione del Popolo, supplemento settimanale del quotidiano torinese, La Gazzetta del Popolo.
Poi, nel Natale del 1932, uscì nelle edicole italiane la prima pubblicazione intitolata allo stesso Topolino, un’assoluta mondiale. Il settimanale era edito dall’editore fiorentino Giuseppe Nerbini, che a partire dal numero 137 dell’11 agosto 1935 passerà il testimone a Mondadori.
Il settimanale, nato negli anni ’30, aveva l’aspetto di un tabloid. Il formato cambierà solo nel 1949, diventando il Topolino che tutti noi conosciamo.
E così sono passati esattamente 80 anni dal suo esordio, ma Mickey Mouse non ha perso assolutamente il suo fascino e questo forse anche perché “il fumetto Disney – spiega a T-Mag Marco Gervasio, maestro Disney, raccontando la propria personalissima esperienza – ha un fattore fondamentale che lo contraddistingue: infatti il fine ultimo è far divertire il lettore, fargli trascorrere un po’ di tempo in spensieratezza, ma il mezzo per raggiungere tale scopo, si basa su valori importanti della vita umana e della società. L’onestà, la correttezza, la giustizia, la sportività sono alla base delle storie raccontate sul settimanale in maniera ovviamente leggera, ma importante”. E se questi sono i criteri con cui un autore come Gervasio pensa, costruisce le sue storie, tutto fa pensare a quanto lavoro c’è dietro un fumetto Disney. Non deve essere semplice, ci vuole tanta bravura e soprattutto molta passione.
“La mia passione nasce con me, nel senso che fin da bambino disegnavo a casa e a scuola, e poi cresce con me, accompagnandomi nei miei studi, liceali prima, universitari dopo. Il mio sogno – confessa Gervasio – è sempre stato quello di fare fumetti, in particolare su Topolino. Ho frequentato anche la Scuola Romana dei Fumetti, dove attualmente insegno. Colsi l’occasione di una Fiera del fumetto a Roma in cui era presente un grande maestro Disney, G.B. Carpi, e mi presentai con una decina di tavole (le pagine a fumetti) degli eroi di Paperopoli e Topolinia. Andò bene, fui presentato in Accademia Disney e, dopo un periodo di prova, iniziai a lavorare regolarmente per il mio amato settimanale”. Ora, l’Accademia Disney non esiste più. Tuttavia, niente preclude ai nuovi talenti di emergere, chi è interessato può “inviare i disegni o i soggetti a Milano e la redazione valuta le capacità di ognuno e, nel caso, agisce così come prima faceva l’Accademia, seguendo o consigliando ove possibile le nuove leve”.
Passano gli anni, cambiano le mode, le passioni e molto altro ancora. Ma Topolino resta sempre un figo.