Plastica e riciclo dei materiali: un’altra via è possibile | T-Mag | il magazine di Tecnè

Plastica e riciclo dei materiali: un’altra via è possibile

Quanto sia indispensabile percorrere strade diverse nella gestione del ciclo dei rifuti è dimostrato dai confitti sociali sulla localizzazione delle discariche in molte zone di Italia. Il caso Roma che – secondo il ministro Clini dal primo gennaio potrebbe essere invasa dall’immondizia se non si definirà un sito alternativo a Malagrotta – è emblematico. Occorre cambiare flosofa e seguire il solco dell’Europa più avanzata dove il ricorso alle discariche è stato abbandonato da tempo a favore del riciclo. Anche la raccolta differenziata, metodo preferito nel nostro Paese, presenta limiti e criticità crescenti. L’unica strada per avviare una rivoluzione del settore resta il riciclo riportando in vita materiali già utilizzati e recuperandoli prima che diventino rifiuto.
È il tema affrontato durante il Convegno “Plastica e riciclo dei materiali: un’altra via è possibile”, evento promosso dall’Eurispes e dalla Federazione Green Economy in collaborazione con il Consorzio PolieCo, durante il quale è stata presentata una ricerca realizzata dall’Eurispes sul ciclo di vita delle plastiche che tende all’approccio “Km 0”.

L’Italia tra gli ultimi in Europa. Secondo la Banca mondiale, entro i prossimi 15 anni nel mondo
raddoppierà la produzione di rifiuti. Questo sia a causa della crescita della popolazione sia per
l’industrializzazione sempre più avanzata dei paesi emergenti. L’Italia, seguendo la politica delle discariche o dell’incenerimento, non riesce ad interpretare un ruolo virtuoso, tanto da essere stata inserita dalla Commissione europea agli ultimi posti della classifica sulla gestione dei rifuti (20esima su 27). Il nostro Paese, in compagnia di Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia, Romania e Slovacchia registra gravi carenze nelle politiche di prevenzione dei rifiuti e non incentiva le alternative al conferimento in discarica. Un atteggiamento miope che potrebbe provocare la perdita degli ingenti finanziamenti che verranno erogati da Bruxelles, tra il 2014 e il 2020, solo a quegli stati membri che privilegiano il riutilizzo e il riciclaggio rispetto all’incenerimento o alla
discarica.

Il riciclo come volano per l’economia. «Il riciclo è la via concreta per una reale green economy, concetto che purtroppo, spesso è stato usato impropriamente», afferma Enrico Bobbio, presidente del Consorzio PolieCo. «Recuperare i materiali, infatti, consente una crescita occupazionale superiore di quasi 10 volte a quella prodotta dalle discariche o dall’incenerimento », aggiunge Bobbio. Secondo la Commissione europea, se i 27 paesi dell’Unione si adeguassero alle normative comunitarie si potrebbero risparmiare 72 miliardi di euro l’anno. Il settore della gestione rifiuti e del riciclaggio incrementerebbe il proprio fatturato di 42 miliardi di euro l’anno, creando 400.000 posti di lavoro entro 2020. «I rifiuti sono una risorsa e non vanno visti come un fardello di cui liberarsi » spiega il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara. «L’Italia, non attuando una corretta gestione del ciclo, esporta ricchezza. Invia in Cina masse di materiale da riciclo con costi enormi e poi riacquista dalla stessa Cina oggetti prodotti con quello stesso materiale senza alcuna garanzia di qualità. Il riciclo in casa nostra è la via maestra – prosegue Fara – per rilanciare l’economia, prevenire lo spreco di materiali, ridurre il consumo di materie prime e di energia».

Il traffco illecito delle Ecomafie. L’Asia, in particolare la Cina ed Hong Kong, si è affermata negli anni più recenti come catalizzatore dei fussi di rifuti plastici provenienti dai paesi dell’Europa, che tornano sotto forma di prodotti lavorati. Se a questo si aggiunge che circa un 1/5 dei manufatti mondiali vengono realizzati in Cina, si può facilmente comprendere come quello dei rifiuti sia uno dei fussi fondamentali per alimentare la produzione cinese, in grado di sostituire materie prime che sarebbero più costose. Ogni anno in Italia una quantità enorme di rifiuti, circa 26 milioni di tonnellate, viene diretta al mercato dell’esportazione clandestina. Spedire illegalmente un container di 15 tonnellate di rifuti verso l’Oriente costa solo 65mila euro, contro i 60mila necessari allo smaltimento legale. Nello stesso tempo gli impianti di riciclaggio italiani sono sottoutilizzati: per lavorare a regime avrebbero bisogno di almeno il 25% di materiale plastico in più. Ne è un esempio il recente sequestro da parte della Guardia di Finanza di 300mila giocattoli pericolosi importati dalla Cina, sui quali si è riscontrato l’utilizzo di sostanze che causano malformazioni nella crescita dei bambini.
Il Consorzio PolieCo si è più volte pronunciato contro le esportazioni illecite dei rifiuti plastici all’estero che oltre a penalizzare il sistema industriale del riciclo italiano, alimentano soprattutto nei paesi asiatici impianti che operano senza le necessarie cautele ambientali e di sicurezza sul lavoro.
Analogamente, ha più volte sollecitato gli Organi competenti sulla necessità di contrastare – tanto in Italia, quanto all’estero – ogni forma di attività non lecita di riciclo che trasforma le imprese da impianti a sorta di “tipografe” aduse solo a cambiare i codici dei materiali in ingresso per favorire sistemi illeciti di smaltimento. Secondo i dati pubblicati dal Rapporto “Ecomafa globale” di Legambiente e PolieCo, gli scarti plastici che hanno valicato le frontiere italiane nel 2010 sono stati circa 200.000 tonnellate per un valore di 54 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 22.000 tonnellate di pneumatici fuori uso, per altri 21 milioni di euro. A questi flussi regolari, però, vanno aggiunti quelli irregolari, ben più corposi, ma difficili da stimare. Nel 2010, 11.400 tonnellate di rifiuti sono stati intercettati prima di essere imbarcati su navi in partenza verso porti cinesi, indiani o africani; di questi materiali il 19% quasi 2.166 tonnellate era costituito da materie plastiche.

Il rifiuto è una risorsa. Il problema fondamentale da affrontare è quello di individuare un percorso
sostenibile, con l’ausilio di opportuni interventi normativi, attraverso il quale il “rifiuto” sia concretamente dissociato dal valore negativo che gli viene comunemente attribuito per assumere una connotazione del tutto diversa: quella di potenziale “risorsa”.
In tema di riciclo, la direttiva 2008/98/CE e la strategia “Europa 2020” hanno incoraggiato la gestione integrata dei rifiuti per avvicinare l’Unione europea alla cosiddetta “società del riciclo”. Tale intervento normativo, nel favorire la realizzazione di una rivoluzione culturale a favore dell’ambiente, ha individuato nel riciclo il migliore strumento di separazione e recupero dei materiali. I rifiuti devono essere progettati per il riuso ed il riciclo, in modo da tornare allo status di fine vita risorse, rientrare nel ciclo produttivo per la realizzazione di nuovi prodotti. Alla base di questa logica c’è quindi una concezione di “economia circolare” in grado di minimizzare gli sprechi ed ottimizzare i rifiuti all’interno di un unico flusso continuo: quello delle risorse.

La ricerca Eurispes. Nella ricerca realizzata dall’Eurispes, si parte dall’analisi delle normative vigenti, sia in campo nazionale sia europeo, e si passa alla trattazione della tematica inerente al settore delle materie plastiche al fine di identificare lo scenario relativo alla composizione dei rifiuti plastici e, soprattutto, di mettere in risalto una delle maggiori criticità del settore, ossia i danni economici legati all’export incontrollato dei rifiuti plastici, la cui raccolta differenziata è finanziata attraverso le tasse e i contributi pagati dai cittadini europei, mentre i profitti finiscono il più delle volte nelle tasche di riciclatori e trasformatori, soprattutto dei paesi orientali. Al danno finanziario apportato all’intero sistema di raccolta e gestione dei rifiuti in plastica si aggiungono il danno economico, determinato dalla necessità per i produttori europei di attingere a materie prime vergini, anziché a materie prime seconde. Inoltre esiste un danno ambientale originato dal
depauperamento delle risorse. A tutto ciò si può porre rimedio e la ricerca dell’Eurispes traccia una nuova prospettiva che verrà tradotta in una proposta legislativa.

(fonte: Eurispes)

 

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