Fotografia di un’Italia a tasche vuote
Poveri che scompaiono dai palinsesti della vita sociale e che ricompaiono soltanto nelle statistiche ufficiali e nelle analisi. Perché ci si vergogna. Perché rappresentano la clamorosa sconfitta di un modello economico e sociale, che ci avrebbe affrancato dalla povertà attraverso la liberalizzazione dei mercati. Oggi però i mercati sono effettivamente più liberi, ma i poveri sono aumentati. L’istituto di ricerca Tecnè è andato a indagare alla periferia del benessere, elaborando questa settimana la ricerca Il fantasma della povertà.
“Quando si parla di proletarizzazione dei ceti medi – commenta Buttaroni, presidente di Tecnè – si intende la povertà fatta d’insicurezza e sfiducia nel futuro, di precarizzazione, di aspettative decrescenti per sé e per i propri figli. In questa prospettiva, la distinzione fra impoverimento reale e percepito perde gran parte del suo significato. Chi si sente povero, nella nostra società, è povero”.
Una povertà interna al sistema. Nel nostro paese questo è il quadro: sono più di undici milioni i poveri “certificati” dall’Istat. Il 20% delle famiglie più ricche detiene quasi il 40% dei redditi complessivi, mentre il 20% di quelle più povere si deve accontentare dell’8%. Un italiano su quattro è sulla soglia della povertà. Se si guarda alla distribuzione dei redditi per fasce, la situazione appare in tutta la sua gravità: dati allarmanti, di una società in affanno. La fotografia di un’Italia a tasche vuote, dove il 56% dei lavoratori dipendenti e il 70% dei pensionati l’anno scorso ha dichiarato un reddito inferiore a 20 mila euro l’anno.
“Oggi – spiega Carlo Buttaroni – serve altro rispetto alle politiche del rigore, per restituire un orizzonte alla stragrande maggioranza della società. Serve investire sul welfare e sui servizi, occorre una politica dei redditi che permetta di rilanciare i consumi e la domanda interna. C’è bisogno di recuperare risorse in quella parte del Paese che detiene una fetta considerevole della ricchezza nazionale e accumula ingenti capitali improduttivi, mentre i commercianti chiudono i loro negozi perché le famiglie sono più povere e non possono permettersi gli stessi livelli di vita del passato. Veramente immaginiamo che si possa uscire dalla crisi con la desertificazione sociale e qualche oasi dove vive una quota di popolazione privilegiata? Occorre il coraggio di scelte che invertano il piano inclinato di questo modello di sviluppo. Se non si assume consapevolezza di questo, non se ne esce”.