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Benedetto XVI e la sua mitezza d’animo

Il ritratto del Papa che ha deciso di dimettersi "per il bene della Chiesa"
di Antonio Caputo

Nel Concistoro dei Cardinali, riunito per l’annuncio della canonizzazione dei martiri di Otranto, Benedetto XVI, spiazzando il suo uditorio, ha annunciato le proprie dimissioni a far data dalla sera del 28 febbraio. La notizia della rinuncia del Papa al suo ruolo (un “fulmine a ciel sereno” come l’ha definita il Decano del Sacro Collegio, Angelo Sodano), è immediatamente rimbalzata sui media a livello planetario, scuotendo, e non è retorico dirlo, il mondo intero.
Classe 1927, Joseph Ratzinger nasce a Marktl am Inn (Baviera), da una famiglia di umili origini; adolescente, fu costretto dal regime all’arruolamento nella gioventù nazista; verso la fine della guerra, tali giovani vennero assegnati al supporto alle truppe sul campo (senza, però, compiti di combattimento), ma un anno prima della fine del conflitto il giovane Ratzinger riuscì a fuggire, disertando, e rischiando per questo la fucilazione.
Si iscrisse alla facoltà di filosofia di Monaco, per poi passare a Frisinga, dove nel 1951 venne ordinato sacerdote. Professore universitario dal 1956, partecipò, quale assistente del Cardinale Frings, ai lavori del Concilio Vaticano II, nel quale si fece notare, insieme al Vescovo ausiliare di Cracovia, Karol Wojtyla.
Numerosissime le sue pubblicazioni, a partire da quelle universitarie; solo per citarne una, ha completato, durante il suo pontificato, il libro “Gesù di Nazareth”, intrapreso negli anni in cui era Cardinale: la sua concezione della Fede è quella di seguire non una Dottrina, ma una Persona, Gesù Cristo.
Arcivescovo di Monaco dalla primavera 1977, divenne Cardinale (nominato da Paolo VI) nell’autunno successivo. Da Giovanni Paolo II, Ratzinger viene nominato (nel 1981) Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ruolo dal quale preparò il Catechismo della Chiesa, pubblicato nei primi anni ’90. Sempre confermato al Dicastero da Giovanni Paolo II, Ratzinger si fece molto apprezzare dal Papa per il suo tener dritta la barra, anche e soprattutto sui temi eticamente sensibili, non temendo di sfidare l’impopolarità, su aborto, Comunione ai divorziati, gay, fecondazione artificiale, eutanasia, etc.
Negli anni romani, la sua fama di filosofo e teologo si espande a livello mondiale, e le sue posizioni conservatrici non gli impediscono un dialogo anche con alcuni settori del mondo laico (come sarebbe poi continuato ad accadere anche durante il pontificato), che al Cardinale guardavano con rispetto, pur nella diversità di approccio.
Proprio Giovanni Paolo II confermò il Cardinal Ratzinger (il quale preferiva tornare in Germania, per gli anni della vecchiaia) al Sant’Uffizio anche dopo il compimento dei 75 anni (2002), età in cui i Vescovi, titolari di Diocesi e/o Dicasteri, cessano dai loro incarichi per raggiunti limiti di età. Evidentemente Wojtyla, già gravemente malato, stava in qualche modo preparando la sua successione, cosa che emerse plasticamente nelle settimane finali di vita del Papa polacco, con tre distinti episodi dai quali si capì che Giovanni Paolo II stava “votando” il Cardinale tedesco: alla morte di Don Giussani (febbraio 2005), il Pontefice inviò Ratzinger a Milano, per presiedere la Celebrazione dei funerali; il Venerdì Santo assegnò allo stesso Cardinale le meditazioni della Via Crucis (fu il celebre grido di dolore: “Quanto Cristo debba soffrire nella sua Chiesa; quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie; quanta sporcizia c’è nella Chiesa, proprio tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”. Frasi che alla luce di quanto successo negli anni seguenti, sembrano profetiche); nel momento dell’agonia, fece chiamare proprio il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, per conferirgli la sua speciale benedizione.
Eletto Pontefice, col pesante endorsment del suo predecessore, il 19 aprile 2005 (al IV scrutinio), esordì, dichiarandosi “un umile lavoratore nella Vigna del Signore”, e lasciando trasparire, da subito, la sua sofferenza nell’accettazione dell’elezione: dichiarò, dopo pochi giorni, “lo sviluppo delle votazioni faceva capire che lentamente la “ghigliottina” si avvicinava e mirava a me”. Nella scelta del nome, Benedetto XVI, si è ispirato al Santo Patrono d’Europa ed al Pontefice della Prima Guerra Mondiale, per esprimere così un auspicio di pace, in un momento in cui, tra il terrorismo islamico e la guerra in Iraq, non erano certo infondati i rischi di uno scontro di civiltà, tra Occidente cristiano (ed ebraico), e mondo arabo-islamico.
Il pontificato di Benedetto XVI è stato in sostanziale continuità con quello del predecessore, pur nella evidente differenza caratteriale: Wojtyla fu un “Grande Comunicatore” che lasciava impressi i suoi gesti; la comunicazione del timido e riservato Ratzinger è stata di altra impronta: si vede in lui il taglio del Professore universitario, che comunica soprattutto con i documenti ufficiali (tra cui le Encicliche, che molto hanno stimolato il dibattito teologico e filosofico), con i libri.
Continuità, dicevamo: nel dialogo con le altre fedi (specie con gli Ebrei, come hanno ricordato i Rabbini di Gerusalemme e di Roma; ma anche con i mussulmani: entrando nel 2006 nella Moschea Blu di Istanbul, ha pregato insieme all’Imam), nell’attenzione ai giovani (proseguendo nella grande intuizione wojtyliana delle Giornate Mondiali della Gioventù), nel tener dritta la barra sulla Dottrina, nel viaggiare spesso, nonostante l’età avanzata (non ai livelli del “Globe-trotter di Dio”, Giovanni Paolo II, ovvio, ma va anche ricordato che il 16 ottobre del 1978, il conclave elesse un Wojtyla 58enne; nel 2005, al momento dell’elezione Benedetto XVI aveva appena compiuto 78 anni).
La sua mitezza d’animo non gli ha impedito di usare in determinate circostanze il pugno di ferro nel governo della Chiesa, (costringendo alle dimissioni, negli otto anni scarsi di pontificato, una ottantina tra Vescovi e Cardinali), affrontando di petto e risolvendo alcuni problemi annosi: la pedofilia tra i sacerdoti, tema spinosissimo i cui risvolti lo hanno molto amareggiato e per il quale ha reso assai più stringenti le regole per il sacerdozio, imponendo una energica sterzata; la trasparenza bancaria, campo minato, sul quale ha imposto l’avvio di un percorso che dovrebbe far uscire, a breve, lo Stato Vaticano dalla black list dei paradisi fiscali.
Altre questioni su cui molto ha posto l’accento sono state la ri-evangelizzazione di un Occidente (e di un’Europa in particolare), in cui la Fede incontra sempre maggiori difficoltà; la politica, con la richiesta di impegno alle nuove generazioni di cristiani, ed il rispetto della dignità della persona al cui servizio la politica si deve porre (sempre nel solco del diritto, travalicando il quale si arriva alla barbarie, come ha ricordato nel discorso al Bundestag un anno e mezzo fa); il contrasto ad un relativismo che pretende di minare alla base i valori di convivenza civile posti dal cristianesimo.
Un punto su cui non è riuscito a ricondurre all’ordine i suoi, è stato quello del governo della Curia: l’incresciosa vicenda “Vatileaks”, dalla quale comunque la figura del Papa non esce minimamente intaccata (anzi!), ha fatto emergere un clima non certo positivo, di lotta di potere tra cardinali, ai quali il Santo Padre col gesto delle dimissioni ha anche dato una lezione di stile.
Da ricordare, ancora, il “Motu Proprio” del 2007, con cui liberalizzava la S. Messa secondo il Rito pre-conciliare, anche nel tentativo di ricondurre all’ovile gli scismatici lefevriani; l’accoglienza verso gli anglicani, che, in numero sempre crescente, bussano alle porte della Chiesa Cattolica; ed, infine, l’indizione dell’Anno della Fede, nel 50° anniversario del Concilio Vaticano II, proprio per stimolare la riscoperta della Fede.
Una considerazione: che per le sue posizioni sulla Fede (in contrasto col relativismo dilagante), e sui temi etici, sia mal visto da una buona parte del mondo intellettuale laico, ci può stare. Ma che tale diversità di posizione si trasformi in una sorta di censura, da parte dei grandi media non solo italiani (che nascondono, spesso, i suoi bagni di folla ed i suoi successi, come quando, nel pieno della crisi diplomatica che stava scoppiando a settembre, dopo il film blasfemo su Maometto e l’uccisione dell’ambasciatore USA Chris Stevens, le parole di dialogo del Papa contribuirono, a detta di molti leader politici e religiosi islamici, a gettare molta acqua su un fuoco antioccidentale che rischiava di divampare nell’irrequieto mondo arabo), è inaccettabile, soprattutto quando si aggiungono travisamenti dei suoi discorsi ed attacchi gratuiti, come ad es. durante il viaggio in Africa nel 2009, quando si montò una polemica sulle frasi del Pontefice sull’uso del preservativo, o nella tremenda campagna scatenatasi sullo scandalo pedofilia che colpì diversi sacerdoti in Irlanda, Belgio, e Stati Uniti; vicenda in cui gli si diede addosso, accusandolo di insabbiamento, quando, in realtà, il cambiamento di regole da lui promulgato, prevedeva tra le altre cose la collaborazione con le autorità civili. In tutti questi casi, oltre agli attacchi dall’esterno, il Pontefice ha dovuto constatare anche un isolamento interno alla Chiesa, su cui ci siamo già soffermati al momento in cui venne fuori la vicenda del “corvo”; isolamento che ha molto amareggiato Benedetto XVI.
L’affetto del popolo cristiano, triste in queste ore per l’uscita di scena del suo Pastore, smonta un altro falso mito, quello della freddezza teutonica del Papa, che non sarebbe “popolare” presso la “base”: le folle, anche di giovani, che si radunano ai suoi incontri, e le manifestazioni di affetto nei suoi confronti, dimostrano esattamente il contrario.

 

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