Green economy e competitività. Oltre la crisi con nuove politiche
Procedere ‘verso’ la green economy, per l’Europa e l’Italia, significa coniugare, guardando al futuro, qualità ambientale e competitività. La seconda si declina di conseguenza in ‘lavoro’ e ‘innovazione’. Non si può affermare che gli attuali programmi elettorali facciano questo. Non si può essere ripiegati sul presente. L’ambiente va oltre e contiene la questione energetica. Soprattutto il tema del cambiamento climatico è molto sottovalutato, sia dal punto di vista ambientale sia economico. Affrontarlo compiutamente significa proiettarsi su scenari di trasformazione socio economica di lungo periodo, tentando di rimodulare la sostenibilità economico-ambientale delle economie avanzate. Queste trasformazioni offrono ampi spazi di creazione di nuove competitività. La Green economy è una radicale integrazione delle innovazioni ambientali nelle strategie innovative d’impresa e nelle high performance work practices, inclusa la formazione dei lavoratori. Significa inoltre correggere il mercato con prezzi che tengano conto delle esternalità. Questi due temi si possono legare, ponendo al centro del discorso il ruolo di politiche ‘well designed’ (seguendo Michael Porter) come determinanti di innovazione, e quindi di competitività.
Le politiche ambientali devono conseguentemente essere percepite come un’opportunità di generazione di ‘doppi dividendi’ economico-ambientali. Questo implica non tanto rimarcare potenziali effetti di breve sulla competitività e sulla delocalizzazione (es. nei paesi non ETS), peraltro in assenza di chiara evidenza empirica a riguardo, e con prezzi dell’ETS oggi intorno a 6-7€ per tonnellata di CO2, non un fattore di costo di alto impatto e non congrui con i costi ambientali, ma lavorare tutti, imprese e policy makers, per disegnare politiche più efficaci ed efficienti. Il ’carbon pricing’ è una opportunità – di mercato – da cogliere, studiandone gli effetti sull’innovazione, sul lavoro, sull’ambiente. È compatibile e foriera di competitività. Si possono fare varie cose. Ad esempio, non criticare ma cercare di migliorare il funzionamento del mercato dei permessi ETS, decidere ‘cosa fare’ del gettito delle aste future ETS (es. sostenere mirati investimenti in eco-innovazione, dove il paese è in ritardo sia dal lato brevetti sia da quello della diffusione), introdurre in linea con le nuove direttive UE una tassazione mirata al contenuto di CO2, sui settori non ETS, integrare il carbon pricing con azioni complementari, quali il fondo Kyoto e i ‘certificati’ bianchi e verdi, cioè focalizzarsi sulle sinergie tra politiche del clima e dell’energia. Tassazione che, in linea con la lezione del prof. Markandya del Basque center of climate change, alla recente conferenza degli economisti dell’ambiente, tenutasi l’8-9 febbraio all’Università di Ferrara, può significativamente ridurre il cuneo fiscale di vari miliardi. Oppure sostenere direttamente la produzione di innovazione, oltre che il consumo. Oppure sostituire a tassazione energetica (41 miliardi di €) una più efficiente tassazione ambientale, ora quasi nulla. Questo non è spararsi sui piedi, per l’Europa e l’Italia, ma porre il mercato su binari di più efficiente funzionamento e porre nuove dinamiche innovative al centro delle strategie di competitività. D’altra parte, nonostante l’alto costo energetico, il paese non mostra né performance in linea con Kyoto – siamo tra i 3-4 paesi con peggiori risultati dagli ultimi dati dell’agenzia ambientale europea – né sull’intensità energetica del PIL, ancora alta, ma stabile da 20 anni. Sia le dinamiche di produttività del lavoro sia ambientale da anni, stagnano. Sul lato ambientale, è vero che i settori produttivi hanno meno responsabilità delle emissioni da trasporto, tuttavia alcuni settori manifatturieri non hanno ridotto le emissioni e coniugato le produttività economiche ed ambientali. Occorre farle ripartire insieme, guardando il futuro con coraggio e agendo da leader, anche se nel breve può comportare dei costi.
Se imprese, parti sociali, decisori accolgono la sfida, lo stesso cambiamento climatico può essere un’importante opportunità di competitività, oltre che ambientale. Ma deve essere al centro delle strategie di impresa e della politica economica in senso ampio.
Massimiliano Mazzanti è Professore presso il Dipartimento di Economia Istituzioni Territorio dell’Università di Ferrara.
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