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Disuguaglianze e rischio povertà

Le famiglie in condizione di povertà, tenendo contro di quanto avvenuto tra il 2010 ed il 2012, sono destinate ad aumentare. Secondo il Rapporto sulla coesione sociale del 2012, realizzato dal ministero del Lavoro, insieme ad Inps e Istat, l’anno passato contava due milioni e 782 mila di famiglie in condizioni di povertà relativa, circa l’11,1% del totale. In termini di unità gli individui in condizioni di povertà relativa sono invece otto milioni e 173 mila, il 13,6% del totale. Per quanto riguarda invece i residenti in condizioni di povertà assoluta sono tre milioni 415 mila, pari al 5,2%.
Come anticipato si tratta di una situazione che ha visto un aumento nel periodo che va dal 2010 al 2012: in particolare un incremento si è osservato nella percentuale delle famiglie senza occupati o ritirati dal lavoro. Per queste famiglie, di cui tre quarti risiedono nel Mezzogiorno, l’incidenza della povertà era pari al 40,2% nel 2010 per aumentare nel 2011 al 50,7%. Aumento dell’incidenza della povertà si registra anche nelle famiglie con prevalenza di componenti ritirati dal lavoro, che nel 90% dei casi sono anziani, passando dal 8,3% al 9,6%. Sale invece dall’11,6% al 13,5% l’incidenza di povertà relativa nelle famiglie con un figlio minore.
Passando alla povertà assoluta risulta che nel caso di famiglie con persona di riferimento non occupata passa dal 5,9% al 6,6%, con persona ritirata dal lavoro passa invece dal 4,7% al 5,4%. Situazione in peggioramento anche nelle famiglie con persona di riferimento in cerca di un’occupazione, che passano dal 8,5% al 16,5%, e nelle persone con componenti con profili professionali e titoli di studio bassi, che passano dal 6,4% al 16,2%.
Dopo la crisi economica, secondo Eurostat, è difficile però usare gli indicatori di povertà assoluta o relativa per confrontare la realtà di un paese con gli altri. Per questo si è passati ad usare l’indice di povertà persistente: tramite i tre indicatori di “rischi di povertà”, “deprivazione materiale ed “esclusione dal mercato del lavoro” è possibile descrivere la percentuale dei popolazione a rischio di povertà, basandosi sulla popolazione che lo era anche nei due o tre anni precedenti. Nel 2010, i poveri persistenti erano il 13% di tutta la popolazione italiana: percentuale superata solo dalla Grecia con il 15,4%. Ben il 24,5% della popolazione italiana risulta invece essere a rischio di povertà risultando alle ultime posizioni insieme a Cipro, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia.
Analizzando la disuguaglianza dei redditi dei paesi dell’Ocse, negli ultimi venticinque anni la diseguaglianza dei redditi è aumentata, in particolare tra gli anni ottanta e gli anni novanta, per poi ristabilizzarsi negli ultimi dieci. In Belgio, Irlanda, Norvegia, Portogallo, Grecia, Spagna e Italia, dal 2005, la disuguaglianza nella distribuzione degli stipendi è diminuita. Al contrario il fenomeno è aumentato in Svezia e Danimarca per rimanere invece sostanzialmente stabile negli altri paesi. “Estendendo però l’analisi agli ultimi 30-40 anni- sottolinea tra gli altri l’Eurispes nel Rapporto Italia 2013 – la disuguaglianza è aumentata in molti paesi, rovesciando la tendenza ad una maggiore uniformità dei redditi”. Nel 2009, l’indice di concentrazione delle diseguaglianze dei redditi, elaborato nel progetto Eu-Silc, colloca l’Italia ad un livello simile alla Polonia, rispettivamente con indice pari a 0,312 e 0,311, leggermente più basso rispetto a Estonia, Grecia e Bulgaria, con 0,313; 0,329 e 0,332.
I paesi Ue, si legge ancora nel Rapporto Italia 2013 di Eurispes, sono caratterizzati da notevoli differenze: a mostrare distribuzioni più diseguali sono Lituania (0,369), Lettonia (0,361), Spagna (0,339) e Portogallo (0,337). All’estremo opposto, in Slovenia (0,238), Ungheria e Svezia (0,241 per entrambi) e Repubblica Ceca (0,249) la diseguaglianza è sensibilmente inferiore.
Sul fronte del lavoro, è doveroso infine osservare, l’Ue avverte che “nel 2013, sulla base della nuova contrazione dell’economia, la disoccupazione in Italia aumenterà di un altro punto”. La disoccupazione dal 10,6% del 2012 passerà all’11,6% e nel 2014 raggiungerà il 12%. Si prevedono dati negativi anche nell’eurozona che a causa della “debolezza dell’attività economica” durante l’anno si attesterà al 12,2% mentre nel 2014 resterà stabile.

 

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