Chi guarda se è rimasta un po’ di verdurina tra i denti
Sulla pagina Facebook di Tecnè un lettore ha scritto il seguente post: “Se anche gli altri servizi che offrite sono come i sondaggi forse è meglio che cambiate mestiere…”. Di seguito la risposta del presidente di Tecnè e direttore di T-Mag, Carlo Buttaroni.
Gentile signore, colgo l’occasione del suo commento per chiarire alcuni aspetti relativi alle attività di “sondaggi”. Questi rientrano tra gli strumenti più utilizzati dalle scienze sociali. Purtroppo, però, pochi hanno chiara la differenza tra scienze sociali e scienze fisiche, alimentando le immancabili polemiche (post-voto) nei confronti degli istituti che realizzano le “indagini d’opinione”.
Già il nome “sondaggi d’opinione” dovrebbe fornire qualche suggerimento. Lascia presupporre, infatti, che misurano qualcosa che è soggetto alla mutevolezza dei pensieri, delle scelte e dei comportamenti dell’uomo. Altrimenti si sarebbero chiamati “sondaggi di certezze”. Ma purtroppo non c’è disciplina, fra le scienze sociali, che possa ambire a tanto. I sondaggi fotografano un momento, restituiscono l’istantanea di un gesto, di qualcosa che è accaduto o che accadrà. Ma il campo è quello delle probabilità, non quello delle certezze.
E’ bene ricordare che solo le scienze fisiche si basano su leggi universali, che valgono cioè in ogni momento e in ogni punto dell’universo. Le scienze sociali, invece, hanno come punto di osservazione i sistemi che hanno come protagonista l’uomo e, pur basandosi su numeri e formule, deducono dai fatti le loro leggi e interpretazioni. Sono cioè soggette a mutamenti, a continui aggiustamenti delle scale e delle unità di misura. Giusto a titolo di esempio: nonostante i potentissimi apparati che analizzano gli andamenti economici, nessuno aveva previsto la potenza e la gravità della crisi economica. Le stesse stime sugli andamenti del PIL sono continuamente corrette in base alle variabili che entrano in gioco. E questa variabilità degli scenari è proprio la caratteristica dei sistemi sociali complessi. Per tornare ai sondaggi, gli istituti di ricerca italiani non hanno nulla da invidiare a quelli degli altri paesi avanzati, pur operando in un mercato assai più povero. Ciò che si è verificato in Italia in occasione del voto politico è un evento che non ha precedenti nella storia della nostra Repubblica. Gli strumenti di rilevazione, per quanto avanzati e sofisticati non potevano misurare con esattezza un evento di tale portata da essere “fuori scala” rispetto a tutti gli eventi precedenti. Esattamente com’è accaduto con la crisi economica mondiale. Ciononostante, nelle rilevazioni che abbiamo realizzato per i nostri clienti – anche durante il periodo di silenzio elettorale – abbiamo dato ampiamente conto della preparazione di un possibile evento “eccezionale”. E le posso assicurare che, proprio in virtù dei potenziali scenari che abbiamo elaborato, abbiamo ricevuto gli apprezzamenti da parte degli stessi.
Il suo commento stimola, però, un’ulteriore riflessione. In Italia non solo la ricerca è poco finanziata, ma c’è una diffusa “non conoscenza” rispetto a quelli che sono i suoi limiti e le sue potenzialità. Per molti, i sondaggi sono una sorta di “palla di vetro” attraverso la quale scrutare il futuro. Non è così. I sondaggi non sono oroscopi o pratiche magiche, ma strumenti scientifici. E la scienza (compresa quella che ha come punto d’osservazione l’uomo) si basa su tutt’altri presupposti dalle sensazioni, dagli auspici e dai segni premonitori. E’ fatta di misurazioni, metodologie, rispetto dei protocolli scientifici. Spiace notare che nel nostro paese ci sia così poca conoscenza di tutto questo (le assicuro che negli USA, in Francia, in Inghilterra, in Germania e in altri paesi avanzati la situazione è tutt’altra). Le polemiche che sono scoppiate in questi giorni fanno pensare che la ricerca scientifica, oltre a essere più finanziata, andrebbe anche fatta studiare nei suoi presupposti di base. Non per far diventare tutti esperti della materia, ma per far si che all’utilizzo di uno strumento corrispondano quelle cognizioni minime rispetto a ciò che si può e deve attendere come risultato. Altrimenti continueremo a trovarci nel paradosso, come quello attuale, che le critiche più feroci vengano da chi non sa di cosa si sta parlando. Questa critica non è rivolta a lei personalmente, mi creda. Il suo commento è, infatti, in linea con il tenore delle polemiche di questi giorni. Ma siamo preoccupati perché dimostra che il nostro paese è indietro. Anni luce. Sembriamo un paese di onniscienti, pur essendo quello con il tasso di lettura dei quotidiani più basso, dove si leggono meno libri e dove le competenze scientifiche sono mediamente più basse rispetto alla media europea. Fare ricerca in Italia significa soprattutto assumere uno spirito da pionieri, visto che un ricercatore, che sceglie di dedicare la propria vita alla conoscenza, guadagna un quinto di un collega straniero e spesso lo attende un’esistenza da precario.
Noi in Tecnè (e in T-MAG) cerchiamo di essere sempre al passo con l’analisi delle principali tematiche e problematiche economiche e sociali proprio attraverso la ricerca. Le dirò di più: l’aspetto anticipatorio ci contraddistingue, com’è stato ad esempio con indagini che hanno messo in evidenza il calo della produzione industriale, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, l’aumento della povertà, la crescita della disoccupazione e la caduta del PIL, ben prima che il tema uscisse alla ribalta delle cronache. Lei probabilmente (e del tutto legittimamente), non ne è a conoscenza. Non è importante. Ma se smettessimo di essere un paese dove, mentre uno ripara un marciapiede, 100 gli stanno intorno per suggerirgli come fare, e cominciassimo ad affidarci meno agli oroscopi e a leggere di più, magari potremmo ricominciare a diventare protagonisti di un futuro che ci riguarda tutti e molto da vicino. Ma per fare questo occorre immettere conoscenze in un sistema che vive, rispetto al mondo che abitiamo, gli affanni dell’inadeguatezza. Il mondo della ricerca è aperto. Non per scelta, ma per necessità. Ogni nuova scoperta, ogni nuovo metodo è preso in considerazione, vagliato, testato, misurato. Le critiche di questi giorni, oltre a essere ingiuste, sono dannose, perché il nostro è un paese ricchissimo di talenti, di risorse culturali e intellettuali, ma incapace di utilizzare quanto ha di buono (e mi creda è moltissimo). Nel nostro Paese ci sono giovani straordinari (e in Tecné ce ne tanti) costretti a emigrare all’estero per vedere riconosciute le proprie competenze. E’ tollerabile tutto questo? Credo proprio di no, perché così esportiamo futuro senza avere nulla in cambio. E questo succede perché non investiamo sulla conoscenza, trattiamo la scienza e la ricerca come fossero orpelli inutili e momentanei di un paese che può sopravvivere solo con il calcio e le veline da mandare su qualche isola famosa. Ma le sembra normale che chi, come noi, fa il proprio lavoro con il massimo delle competenze e dell’onestà, è sottoposto a critiche da parte di chi, spesso, confonde l’astrologia con l’astronomia? Naturalmente non è il suo caso, ma è sembrato talvolta il tenore delle polemiche di questi giorni. Questo non vuol dire che ci sottraiamo al confronto, tutt’altro. Ma ci piacerebbe che fosse basato su presupposti diversi dal chiacchiericcio e dalle insinuazioni tipo quelle che hanno riguardato presunti accordi tra istituti di ricerca per dare gli stessi risultati. Operiamo in un regime di concorrenza e le assicuro che ognuno di noi mira, legittimamente, a fare meglio dell’altro, non a fare peggio, o uguale.
Se non si capisce che i risultati elettorali di domenica e lunedì hanno una dimensione storica (e che, quindi, possono essere stati rappresentati non esattamente in scala) e che, quindi, vanno analizzati nella loro straordinaria portata politica, sociale ed economica, significa che il nostro paese è destinato a restare su un piano inclinato. E sarà assai difficile invertire la direzione. Solo la consapevolezza di quanto sta accadendo può salvare l’Italia. E in assenza speriamo prevalga almeno il buonsenso che il terremoto non dipende dai sondaggi. Né tantomeno è colpa dei ricercatori se le urne sono diventate il vaso di pandora da cui stanno uscendo i fantasmi di un paese in deficit di futuro. Sta a noi, a tutti noi, cercare di riconquistarlo il futuro. E non lo faremo certo stando tranquillamente seduti al bar, pensando che la deriva non ci riguardi. Perché ci coinvolge tutti, da molto vicino. Nessuno ce la potrà fare da solo. Varrebbe la pena, quindi, di finirla di andare tranquillamente verso il baratro, con l’atteggiamento di chi guarda se è rimasta un po’ di verdurina tra i denti di chi ci sta accanto. L’Italia merita di più. Bisogna cominciare a pretenderlo.
Un cordiale saluto
Carlo Buttaroni