Viaggio nella Russia di Vladimir Putin
Un forte senso di fedeltà nei confronti dello Stato. Ecco, questo potrebbe essere il filo rosso che collega tutte le decisioni, le scelte prese nel corso della sua vita da Vladimir Vladimirovič Putin, presidente della Russia per la terza volta. E molto probabilmente non poteva essere diversamente. Suo nonno, si legge nella sua biografia, era il cuoco personale di Lenin e Josif Stalin. Suo padre fu arruolato come sabotatore dal NKVD e durante la seconda guerra mondiale combatté dietro le linee tedesche. E poi c’è lui, Vladimir, che poco più che adolescente dimostrò fin da subito l’intenzione di diventare agente del KGB. Per questo risulta difficile capire come sia stato possibile un errore di valutazione simile da parte di chi ha messo Putin alla guida della Russia, convinto di poterlo manovrare a proprio piacimento. Per un personaggio con un passato simile, la fedeltà verso lo Stato viene prima di tutto.
“Putin è ormai da tredici anni alla guida della Russia (non lo è stato nel periodo 2008-2012, quando presidente è stato Dmitri Medvedev, ma si è trattato più che altro di una parentesi formale) e questo – spiega a T-Mag Stefano Grazioli, giornalista e autore del libro Gazprom – Il Nuovo Impero (Lantana editore) – è un lasso di tempo sufficiente per tracciare un bilancio”.
Eltsin affidò a Putin un Paese sull’orlo del baratro e con un’economia in mano a pochi e potentissimi oligarchi, i quali aveva costruito le proprie fortune approfittando della debolezza dello Stato, nato dalle macerie dell’Unione Sovietica. E fu proprio uno di questi, Boris Berezovsky, trovato solo qualche giorno fa impiccato nella propria residenza londinese, a favorire l’insediamento di Putin al Cremlino. Una scelta, la sua, che cambiò per sempre la Russia.
“I primi due mandati (2000-2004 e 2004-2008) sono serviti in sostanza a rafforzare la Russia sul piano interno dopo il disastroso decennio sotto Boris Eltsin in cui in Paese era finito al collasso (due colpi di stato, 1991 e 1993, due guerre in Cecenia, 1994-1996 e 1999-2000, il default economico del 1998). Lo Stato ha riacquisito lo spazio che aveva perso durante i primi anni dopo il collasso del comunismo, il potere degli oligarchi è stato arginato con le buone (la stragrande maggioranza ha accettato di non impicciarsi più delle faccende politiche come era abituato a fare ai tempi di Eltsin) o con le cattive (chi voleva continuare a fare come prima è finito in Siberia, come Mikhail Khodorkosvsky, o si è auto esiliato, come Boris Berezovsky o Vladimir Gusinsky), l’economia si è ripresa (grazie anche all’andamento dei prezzi del petrolio) e a livello sociale le cose per i russi hanno cominciato a migliorare (si è creata una classe media sul modello di quella occidentale)”.
“Per Putin è stato importante cambiare marcia rispetto a Eltsin ed è per questo che è sempre stato sostenuto dalla stragrande maggioranza dei russi. Ancora oggi: secondo i sondaggi gode del favore del 65% della popolazione e un leader dell’opposizione non esiste. Anzi è l’opposizione che proprio non esiste. Alcuni problemi grandi problemi comunque non sono stati risolti (corruzione, terrorismo e spinte fondamentaliste nelle repubbliche del Caucaso) e l’ingerenza dello Stato nell’economia e nella società è aumentata, considerando però che sotto Eltsin vi era praticamente anarchia. Dopo il quadriennio di Medvedev, Putin è ora deciso a continuare il processo di stabilizzazione e rafforzamento del potere interno e i prossimi anni (è al Cremlino sino al 2018) saranno dedicati al progetto esterno dell’Unione Euroasiatica: non si tratta di creare una nuova Unione Sovietica, ma di cercare una maggiore integrazione economica con le ex repubbliche, creando uno spazio che non sia solo cuscinetto tra Europa e Cina. La Russia di Putin aspira in sostanza ad avere un ruolo nello spazio postsovietico allo stesso modo della Germania nell’Unione Europea. Non a caso il miglior partner (qualitativo e quantitativo) per Mosca è proprio Berlino. Putin, che ha risollevato, pur sempre tra luci e ombre, la Russia, vuole portare il suo paese a essere uno dei poli reali del nuovo ordine mondiale (non solo nel Consiglio di sicurezza dell’Onu)”.
Eppure, secondo molti osservatori esterni, l’insediamento di Putin al Cremlino non ha segnato solo la nascita di uno stato di benessere fino ad oggi sconosciuto a buona parte della popolazione. Negli ultimi anni, accusa Human Rights Watch, Mosca ha varato una serie di leggi interpretate come un tentativo di mettere a tacere il dissenso. La repressione, si legge nell’ultimo rapporto dell’organizzazione per la tutela dei diritti umani, ha raggiunto livelli insostenibili. In sostanza, secondo HRW, la Russia odierna è peggio della vecchia Unione Sovietica.
“La Russia di oggi – ribadisce Grazioli – non è una democrazia e nemmeno una dittatura. Si può chiamarla democrazia guidata o sovrana, democratura, silogarchia (i siloviki sono gli uomini dell’apparato e dei servizi che Putin ha cooptato dal suo arrivo al Cremlino), il principio è lo stesso: e cioè che la Russia è governata da pochi, sì in maniera formalmente democratica, ma non proprio in termini reali come vuole la tradizione occidentale (che anche in Europa la democrazia si stia trasformando è un altro paio di maniche). Silogarchica è oggi la Russia di Putin, ancora di più lo era quella di Eltsin, in mano ad un numero di oligarchi da contare al massimo su due mani”.
Ma tutti, anche i potenti oligarchi che, morto il comunismo, si arricchirono velocemente entrando in possesso delle risorse della Russia, devono guardarsi bene dal dissentire dalle decisioni prese dal Cremlino. Perché così come accadeva nell’era zarista e nell’epoca sovietica, anche nella Russia di Putin chi decide di allontanarsi dalla linea tracciata dal potere centrale corre il rischio di essere internato nelle patrie galere. Il caso più emblematico è quello di Mikhail Khodorkosvky, ex magnate del petrolio, le cui ambizioni politiche ed alcune scelte imprenditoriali lo portarono ben presto ad inimicarsi Putin. “Khodorkosvky – racconta Grazioli – è stato uno di questi. Non si è rassegnato al cambio di potere e ha preferito farsi spedire dietro le sbarre piuttosto che fuggire come alcuni (pochissimi) suoi colleghi. E’ stato arrestato nel 2003 (con l’accusa di appropriazione indebita di petrolio e riciclaggio di denaro, ndr) sono passati dieci anni in cui di casi analoghi e clamorosi non se ne sono verificati e se ce ne saranno nei prossimi anni saranno comunque altrettanto rari”.
Perché, spiega Grazioli, “divergenze ce ne sono state e ce ne saranno sempre all’interno del blocco di potere, che non è certo monolitico come si tende a pensare dalle nostre parti, ma l’élite oligarchica sotto Putin pare essere più orientata al compromesso”.
D’altronde, “al sistema Putin gli oligarchi si sono abituati in fretta e a guardare le liste di Forbes (nel 2013, dei 366 miliardari europei, i russi sono 100) la collaborazione funziona benissimo, molto meglio di prima”.
Certo, ci potrà essere l’eccezione che conferma la regola e “qualcuno come in passato farà le valigie e se ne andrà lontano dall’ombra ingombrante del Cremlino. Ma il punto è che in Occidente – analizza il blogger de Linkiesta – si tende a fare degli ex compagni di merende di Putin dei dissidenti politici. Bisognerebbe imparare a guardare con più attenzione quello che succede a Mosca e dintorni, senza cadere nella tentazione di classificazione manichee”.
Alla fine dell’era Eltsin, il Paese era al collasso. Collasso politico, economico e sociale. Ma la Russia non è una nazione qualunque: le immense risorse, nascoste nel suo sottosuolo, e le decisioni di Putin permisero all’ex Paese sovietico di uscire dal decennio eltsiniano molto velocemente e di ritornare ben presto ad essere una delle potenze mondiali oltre che “uno dei più grandi produttori energetici del mondo”.
La Russia, sottolinea Grazioli, “possiede più di un quarto delle riserve mondiali di gas, circa il 5% di quelle di petrolio e più o meno il 20% di quelle di carbone. L’economia russa dipende in larga parte dalle proprie risorse energetiche. Gazprom, di proprietà statale, controlla circa l’80% del mercato del gas. Nel settore petrolifero si sta assistendo a un rafforzamento della posizione dello stato, dopo che le privatizzazioni degli anni novanta avevano condotto a una diversificazione oligarchica. Rosneft per il petrolio è diventata il corrispettivo di Gazprom per il gas. E’ naturale – puntualizza – che in questo quadro queste aziende sotto il controllo del Cremlino siano vettori importanti non solo per l’economia, ma anche per la politica (non si tratta del resto di una particolarità russa). E’ per questo che Putin ha invertito il corso delle privatizzazioni eltsiniane, che avevano condotto prima alla svendita di buona parte dell’industria petrolifera, poi al rischio di vedere le ex aziende pubbliche finite in mano ai privati russi passare addirittura a investitori esteri (il problema maggiore di Khodorkovsky è stato quello non solo di non voler rispettare il patto con Putin, ma quello di essere troppo vicino a chi dagli Stati Uniti aveva intenzione di salire sul carro energetico russo)”.
“La politica estera di un paese – precisa Grazioli – è sempre più determinata da fattori economici, non solo a Mosca. Molti in Occidente conoscono il nome di Alexei Miller, il ceo di Gazprom, quello di Lin Sheng-Chung, numero uno di Cnpc (il gigante energetico targato Pechino), è ancora sconosciuto. Ma è solo questione di prospettiva e di tempo. Gazprom è descritta in Occidente un po’ come il braccio energetico armato del Cremlino, in realtà la Russia è sempre stato un partner affidabile per l’Europa, anche durante la Guerra fredda, soprattutto per l’Italia con cui ha iniziato a tenere rapporti sin dai tempi di Enrico Mattei. La dipendenza tra Mosca e il resto delle capitali europee è simmetrica: all’Europa serve il gas russo, la Russia senza il mercato europeo (a cui va l’80% del gas estratto nel Paese) crollerebbe. Così sarà ancora per un po’, almeno sino a quanto la sete energetica cinese non condurrà a un sensibile spostamento degli equilibri”.
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