Quella tenerezza del Papa che continua a chiamarsi Vescovo
Abbiamo ormai imparato a conoscerne la tenerezza. Il Papa venuto “dall’altra parte del mondo”, che immediatamente il popolo cristiano ha sentito vicinissimo, ci ha abituati, giorno dopo giorno, ad amarlo per quei suoi gesti umani, semplici, naturali. Anche ieri mattina, nel tradizionale giro in papamobile, il pontefice ha aiutato un bambino di pochi mesi a recuperare il ciuccio che aveva perso. Una paternità vestita di bianco, fatta di carezze e sorrisi.
E quella paternità che così normalmente sembra incarnare, Papa Francesco continua a racchiuderla in una sola parola: Vescovo. Come se Vescovo indicasse il Pastore, il Padre, la Guida, il Sacerdote. Come se preferisse quella parola alla definizione di Papa.
E d’altronde fin dal suo primo saluto, immediatamente dopo aver detto “Buonasera” alla folla che aspettava di vedere il suo volto, Papa Francesco si è definito così, e inchinandosi ha chiesto alla Chiesa di iniziare insieme il cammino di fede: il popolo e il suo Vescovo. E domenica c’è stato l’insediamento proprio a Vescovo di Roma, la città che è centro, nucleo da cui – aveva detto – si irradia la fede al mondo.
“Con gioia celebro per la prima volta l’Eucaristia in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto” – ha iniziato la sua omelia il pontefice. Dal maxischermo i fedeli arrivati nella piazza della Basilica – rimasti fuori da una chiesa affollatissima già dal mattino – hanno seguito la celebrazione della Santa Messa del Papa, le preghiere, la liturgia della Parola, la liturgia eucaristica. E hanno osservato la dolcezza con cui Papa Francesco ha salutato i presenti, ha parlato ai bambini affetti dalla sindrome di down, ai giovani e agli anziani in prima fila sulle loro carrozzelle. A tutti una carezza, a tutti un sorriso. A molti un abbraccio. Immagini che hanno commosso, umanizzando ancor più una storia sacerdotale che si è snodata negli anni tra i quartieri più poveri di Buenos Aires, tra le “Ville miserie”, le baraccopoli della città argentina. Immagini che attraverso il comportamento del Papa sudamericano ci restituiscono il valore di ciascun uomo, di ciascuna storia, di ogni sguardo, di ogni nome, della vita donata e mai abbandonata da Dio. “Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato” – ha detto alla folla. Un’omelia carica di amore e di speranza, in cui, di nuovo, la parola misericordia è stata la più ripetuta.
Alla fine della celebrazione una scritta è apparsa sullo schermo esterno: Il Papa si affaccerà dalla loggia esterna della Basilica Lateranense. “E’ la prima volta che accade durante l’insediamento” – diceva con gioia qualcuno più avanti negli anni.
“Fratelli e sorelle, buonasera! – l’abituale, acclamato, entusiasmante saluto del pontefice – Vi ringrazio tanto per la vostra compagnia nella Messa di oggi. Grazie tante! Vi chiedo di pregare per me, ne ho bisogno. Non vi dimenticate di questo – è anche qui la sua richiesta, l’unica -. Grazie a tutti voi! E andiamo avanti tutti insieme, il popolo e il Vescovo, tutti insieme; avanti sempre con la gioia della Risurrezione di Gesù; Lui sempre è al nostro fianco. Che il Signore vi benedica!”
Il popolo e il Vescovo. Ancora, sempre.
Il prossimo impegno di Papa Francesco è domenica 14 aprile. Dopo l’Angelus del mattino a piazza San Pietro, alle ore 17.30, nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, celebrerà la Santa Messa in occasione della prima visita alla Basilica Ostiense.