È ancora “Re Giorgio”, il presidente
Molti dei quali oggi lo hanno voluto ancora al Colle, sono gli stessi che nel 2006 non lo votarono sebbene “persona stimabile”. Perché un comunista in definitiva resta un comunista, anche se migliorista. E il mantra da sempre è il medesimo: “Il nostro elettorato non capirebbe”.
Giorgio Napolitano, già presidente della Camera e ministro dell’Interno, fu eletto presidente della Repubblica il 10 maggio 2006 alla quarta votazione con 543 voti e il 15 giurò da capo dello Stato. Il primo esponente proveniente dal Pci a salire al Quirinale, nel corso del suo settennato, da spauracchio sinistrorso ben presto diventò l’uomo delle istituzioni. Ruolo che però ha dovuto difendere con gli artigli e con i denti per via dei consueti strappi e delle successive ricuciture, soprattutto con Berlusconi. “La Consulta è politicizzata, è di sinistra. E il presidente della Repubblica sapete da che parte sta”, attaccò nel 2009 il Cavaliere dopo la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano. “Già da ministro fui uomo delle istituzioni, non di parte”, rispose alcuni giorni più tardi Napolitano. Per Beppe Grillo, Napolitano è Morfeo. Si ricrederà, un po’ a scoppio ritardato, quando salirà al Colle per le consultazioni dopo il voto del 24 e 25 febbraio 2013 salvo dirsi nuovamente deluso dal suo operato in una recente intervista al Fatto Quotidiano. Per tutti gli altri, almeno per gli strenui difensori dell’antiberlusconismo, Napolitano “è un genio della politica” (cit. Eugenio Scalfari). E genio della politica lo diventò, in particolare, quando nel novembre del 2011 guidò la transizione dal governo Berlusconi, non ancora sfiduciato, ma ormai privo di una maggioranza certa (e preso d’assalto dagli scandali che chiamavano in causa proprio l’ex premier oltre che dallo spread), all’esecutivo tecnico di Mario Monti. Una mossa che gli valse le attenzioni del New York Times, il quale lo soprannominò per l’occasione Re Giorgio. L’inquilino del Quirinale preferì percorrere una strada di successo immediato – l’Italia, era il pensiero condiviso da molti, necessitava di una medicina amara che le permettesse di riacquistare internazionalmente la credibilità perduta –, destinata tuttavia ad affievolirsi a causa delle tante misure lacrime e sangue che l’esecutivo tecnico avrebbe poi imposto. Tutt’altra gestione della crisi di governo rispetto a quella del 2008 quando, rimesso il mandato esplorativo di Marini a seguito della caduta di Prodi (due nomi tornati in auge per la successione a capo dello Stato), sciolse le Camere dopo 22 mesi dal suo approdo al Colle.
Il passaggio dal Cavaliere al Professore è la croce e delizia del settennato di Napolitano. Almeno stando al Rapporto Italia 2013 dell’Eurispes che a inizio anno, a fronte di una sfiducia generalizzata verso le istituzioni, ha rilevato nei suoi riguardi un calo di consensi: il 44,7% di fiduciosi di cui il 19,3% “molto” e il 25,4% “abbastanza” contro il 62,1% del 2012. “Ancora non è chiaro – osservava infatti l’Eurispes – se il capo dello Stato sia entrato nella spirale della sfiducia, ormai strutturale, che gli italiani nutrono nei confronti dell’intero sistema politico, ma la sensazione è che questo risultato possa essere, in buona parte, attribuito al sostegno dato al governo Monti”.
Di certo c’è che Napolitano, come già i suoi predecessori solo che in maniera talvolta più netta e decisiva, non si è mai sottratto ad interventi che, di fatto, hanno tracciato un solco tra dettato costituzionale ed interpretazione evolutiva dei poteri. L’ultimo in ordine temporale, l’istituzione del comitato dei saggi dopo il tentativo affidato a Bersani di trovarsi una maggioranza in Parlamento. Qualcuno l’ha accusato di golpe e non è la prima volta che gli capita di sentirselo dire. Poco male: “Non può sfuggire agli italiani e all’opinione internazionale che un elemento di concreta certezza nell’attuale situazione del nostro Paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento: esso ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l’economia, d’intesa con le istituzioni europee e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della Commissione speciale presieduta dall’onorevole Giorgetti. Nella prospettiva ormai ravvicinata dell’elezione del nuovo Capo dello Stato, che mi auguro veda un’ampia intesa tra le forze politiche, sono giunto alla conclusione che, pur essendo ormai assai limitate le mie possibilità di ulteriore iniziativa sul tema della formazione del governo, posso fino all’ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita tra posizioni inconciliabili”.
Tanti i temi cari a Napolitano. Dalla cittadinanza da estendere ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri (“Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione”) alle condizioni disastrose delle carceri (“Ho più volte, anche molto di recente, colto ogni occasione per denunciare l’insostenibilità della condizione delle carceri e avrei auspicato che quegli appelli fossero stati accolti in maniera maggiore”), passando per la legge elettorale. Argomento spinoso, quest’ultimo, per cui più volte ha strigliato i partiti, colpevoli di non essere riusciti ad accordarsi, neppure in extremis, sulle eventuali modifiche.
Da presidente della Repubblica ha affrontato nel 2011 un tour de force non indifferente per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia e, come Pertini in Spagna nel 1982, ha esultato per il trionfo in Germania della nazionale di calcio ai Mondiali del 2006. Di lui, Obama disse durante un incontro a Washington: “È un leader lungimirante, con una visione aperta al futuro e straordinario per l’Italia e l’Unione europea”. In tanti lo volevano ancora al Colle. Re Giorgio non era d’accordo. “Francamente non credo che sarebbe onesto dire: ‘State tranquilli, fino all’età di 95 anni io posso fare il presidente della Repubblica’. Insomma, la carta di identità conta…”.
Salta Marini alla prima votazione. Salta Prodi alla quarta. E saltano altre teste. Napolitano, implorato dalle forze politiche, viene eletto al sesto tentativo presidente della Repubblica sabato 20 aprile 2013 con 738 voti (ben oltre il quorum fissato a 504). Per un secondo mandato. È la prima volta nella storia repubblicana. “Mi muove in questo momento il sentimento di non potermi sottrarre a un’assunzione di responsabilità verso la nazione, confidando che vi corrisponda una analoga collettiva assunzione di responsabilità”.
Grillo, che con il M5S sponsorizzava Stefano Rodotà, urla al colpo di stato. La folla davanti Montecitorio grida ‘buffoni’, ‘vergogna’. Il sistema dei partiti è in crisi profonda. “Tutti a Roma”.
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