La prima intervista
Sono le undici di mattina e Beppe Grillo è al bancone dell’Hotel dei Cavalieri di Barletta, la città della disfida. Da Ettore Fieramosca al film con Cristopher Lambert il passo è abbastanza lungo, ma lui ci ha abituato a ciò che all’apparenza sembra impensabile. Grillo ordina un caffè macchiato con un po’ di latte (la sera precedente ha cenato con un’insalata di cicoria). Per la prima volta da tanto tempo conversa con un quotidiano italiano, senza essere inseguito, risponde alle domande, alle critiche che gli fanno, illustra la sua tesi su ciò che succederà, fa ovviamente moltissime battute varie. Ma in privato appare molto meno istrionico, più propenso a una citazione che a una battuta.
La prima notizia, ha visto, è un altro arresto, del presidente della Provincia, Pd, di Taranto, per la storia dell’Ilva. Che ne pensa?
«Mah, siamo cauti. Non è che i magistrati adesso stanno esagerando un po’? C’è uno strano clima, intorno. Sono preoccupato».
La polizia è venuta nei vostri uffici a Milano, chiedendo di vedere i server per i ventidue ragazzi indagati a Nocera per vilipendio contro il capo dello Stato. Davvero crede che vogliano chiudere il blog?
«Secondo me ci provano, a bloccare i server. È significativo che sia venuta la polizia, non la polizia postale. In questo io vedo una stretta. Naturalmente la rete non la puoi chiudere, ciò che chiudi da una parte rispunta dall’altra, me lo disse anche l’ambasciatore cinese quando ci siamo incontrati, e se lo dice lui… Però è un segnale di quanto il sistema ci odia. Mi vogliono demolire persino sui soldi, io che non ho mai toccato diecimila lire in vita mia».
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