Lobby e politica: le regole del gioco
Dopo la puntata delle Iene di domenica 19 maggio il tema delle lobby e del rapporto con la politica è ritornato a far discutere. Per capire meglio il rapporto tra poteri in Italia abbiamo intervistato Gianluca Sgueo, giornalista e autore del libro Lobbyng e lobbismi. le regole del gioco in una democrazia reale.
Cosa e quali sono le lobby in Italia?
Molto dipende da che punto di vista interpreti la parola “lobby”. Dal punto di vista giornalistico, se per lobby intendiamo gli agglomerati di interessi che difendono le proprie prerogative, allora sono ovunque: negli ordini professionali, nelle associazioni di categoria e in quelle che rappresentano settori dell’impresa. Ma anche nelle correnti politiche, nelle banche, nell’economia, e via dicendo. In realtà l’uso mediatico della parola confonde le idee e nasconde la verità. Confonde perchè non si può dare l’etichetta di “lobby” a tutto quello che si avvicina a un gruppo di persone che hanno un interesse comune, a prescindere dal tipo di interesse, da quante sono queste persone e da chi rappresentano. E quindi nasconde la verità, che riguarda un numero di professionisti associati in studi o inseriti negli organigrammi di aziende e associazioni, i quali hanno il compito di sostenere gli interessi dei propri clienti o datori di lavoro all’interno dei processi decisionali. Nessuno (nemmeno i diretti interessati!) ha la pretesa di sostenere di avere sempre ragione. Semplicemente sono necessari a chi decide per conoscere nei dettagli tutte le conseguenze che una data decisione potrebbe avere.
Il loro peso è reale o è solo frutto di una percezione sbagliata?
Sicuramente il “peso” non è quello che vorrebbero dargli alcuni servizi giornalistici o articoli di stampa. A vederla in quel modo questi oscuri lobbisti avrebbero il potere di influenzare tutto il funzionamento delle istituzioni. Evitiamo i complottismi e guardiamo alla realtà: le lobby – o, meglio, i lobbisti – sono pesanti nella misura in cui aiutano i processi istituzionali a essere “plurali”, cioè cori a più voci nei quali tutti gli interessi sono rappresentati. In questo senso il loro peso è essenziale.
Prendendo in prestito il sotto titolo del libro, quali sono le regole del gioco per una democrazia reale?
Oggi il campo di gioco della democrazia italiana ricorda di più una partita di hockey che un incontro di tennis. Intendo dire che, vista da fuori, sembra più una lotta all’ultimo sangue che un match ordinato con un arbitro che controlla il rispetto delle regole. Ecco perchè il titolo del libro richiama il concetto di regola. Se parliamo di lobbying ne basterebbero tre per iniziare. La trasparenza, che significa accessibilità ai dati (chi rappresenta chi? Per quale volume di affari? Attraverso quali canali?); le cosiddette “revolving doors” (e cioè il divieto di passare da un incarico pubblico a uno di public affairs se prima non passa un periodo di tempo sufficiente per evitare conflitti di interesse); e infine una maggiore attenzione ai percorsi professionali. C’è una giungla vera e propria nella formazione di chi poi svolgerà il lavoro di lobbista. Non esiste un corso di laurea dedicato, ci sono decine e decine di master e corsi di formazione post-laurea, senza contare tutto il mercato dei “tirocinanti”. La terza regola del gioco deve essere chiarezza nella preparazione e nell’inserimento al lavoro di chi fa questo mestiere.
Il governo sembra voglia andare verso la direzione di chiudere i rubinetti del finanziamento pubblico ai partiti. In tanti parlano già di un rischio intromissione dei grandi gruppi di interessi nella vita dei partiti. Come stanno le cose in verità?
Da un punto di vista generale l’idea di annullare i finanziamenti ai partiti è invincibile. I soldi elargiti ai professionisti della politica hanno consegnato all’Italia una classe dirigente mediocre, autoreferenziale e vecchia. Ci sono le eccezioni ovviamente, ma sono poche. In realtà però quello che diceva Bersani non è sbagliato. Siamo sicuri di voler eliminare qualsiasi forma di finanziamento? E se questo significasse accesso alla politica solamente per chi ha le disponibilità economiche per farlo? Non avremmo creato un problema molto più grande di quello che abbiamo già? Mi viene in mente l’esempio americano. Oggi le elezioni presidenziali sono tutta una questione di soldi. Più è forte la tua macchina elettorale, più fondi avrai, più sarai in grado di influenzare gli elettori. I più grandi finanziatori dei Pacs (i comitati elettorali, che oggi sono chiamati superpacs perché sono cresciuti a dismisura) sono le multinazionali o le grandi aziende. Guarda caso le politiche dei presidenti neo eletti sono sempre molto attente a non urtare oltre il necessario la sensibilità dei soggetti che ne hanno finanziato generosamente l’elezione
Pensando all’America o ai freddi e grigi palazzi di Bruxelles crede che possa essere quello un metodo da importare anche in Italia?
Importare sì, ma non per partito preso. Dall’America si può importare l’attenzione alla trasparenza. Lì un cittadino può sapere quale lobbista ha incontrato il senatore X, quanto investono le imprese in attività di lobbying e su quali temi. Insomma, c’è disponibilità di informazioni che qui ci sogniamo. Del sistema europeo importerei la filosofia della vita istituzionale: attenta e rispettosa del lavoro dei lobbisti. Sono conosciuti e stimati. Nessuno si sognerebbe di parlarne come di persone che stanno li per corrompere. Per il resto l’Italia deve trovare un proprio modello, che sia attento alle proprie esigenze e peculiarità.
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