Lobby, politica e traffico di influenze
Continuiamo il nostro approfondimento sulle lobby in Italia con l’intervista a Massimo Micucci, lobbista ed autore con Santo Primavera del libro Trafficante sarà lei!, un focus importante sul tema del “traffico di influenze” e della sua declinazione italiana dopo la legge anti corruzione messa in campo dal governo Monti.
Un libro sul rapporto tra lobby e politica, con un taglio chiaro ed un focus sul traffico di influenza. Quale la mission e quale la vision di questo volume?
Lanciare un allarme su una ipotesi di reato pericolosa e impropria, quella di traffico illecito di influenze. Influenzare i decisori politici non è solo un diritto costituzionale (nel senso che ci sono pronunciamenti della Corte Suprema); consultare gli stakeholders è da noi addirittura un obbligo di legge. Per questo in molti paesi è riconosciuta e regolamentata la attività di lobbying come un importante apporto democratico. L’Ocse la ritiene una pratica da diffondere. In Italia questa attività fisiologica non è riconosciuta dalla legge, ma ne viene riconosciuta la patologia con il traffico illecito. Così tutti colpevoli nessuno colpevole e lo Stato chiudendosi alla consultazione con gli interessi si chiude ai cittadini. Noi siamo lobbisti, portatori di conoscenze assieme agli interessi, in base a queste i politici possono decidere essendo più informati. I delinquenti e i trafficanti sono sono un’altra cosa.
L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti riapre la discussione sulla relazione tra politica e interessi. Come può l’Italia superare questo stallo e avviare una nuova fase, trasparente, del rapporto tra pubblico e privato?
Basta smetterla con l’ipocrisia. Il costo della politica deve essere assunto volontariamente dai cittadini poiché i partiti sono associazioni volontarie. Finanziare un partito è un diritto civico, garantire trasparenza un diritto per tutti. Negli Usa le campagne elettorali cominciano con la raccolta di soldi, da noi il denaro è sterco del diavolo, per poterlo nascondere. Io spero che il finanziamento privato e la trasparenza aiutino i partiti a tornare popolari e a mantenere un limite. Semmai il problema sono gli sprechi dello statalismo: 8.000 società partecipate e 25.000 consiglieri di amministrazione.
In Europa ci sono valide esperienze anche rispetto agli equilibri tra poteri. L’esempio inglese di cui lei parla nel libro può fare scuola anche da noi e come?
Nel mondo anglosassone si dice esplicitamente ciò che è proibito e lo si chiama corruzione con diversi gradi di gravità, tutto il resto è consentito. Quando l’impegno di comunicazione o lobbying dei più forti tende a “catturare” i regolatori c’è una stampa indipendente (qui no), una magistratura che dipende solo dal popolo e sopratutto la possibilità di class action. Un sistema complesso di contrappesi.
C’è forse un problema culturale tutto italiano rispetto alla concezione delle lobby e dei lobbisti?
Il problema esiste ovunque, in Italia è aggravato dall’assenza di regolamentazione e dalla presunzione recente che ogni rapporto tra pubblico e privato sia corruzione a meno che non sia esplicitamente autorizzato. Inoltre in Italia il peso dello Stato e delle leggi è troppo. Il sistema pubblico e della spesa pubblica pesa troppo per non far gola a tanti. Molti dentro e fuori dallo stato, preferiscono l’ombra perché ci si nasconde meglio e si può sempre dare la colpa a qualcun altro.
Un pezzo della classe dirigente politica è cambiato e cambierà ancora. C’è speranza che l’Italia possa diventare compiutamente moderna e competitiva?
Credo di si. Tra un po’ non avrà alternative. Non saranno tempi brevi, ma chi ha più futuro davanti ha più fiducia nel futuro, anche se può tardare ad accorgersene e a capire come muoversi. Io ho fiducia in chi si impegna a cambiare. Assieme a miti che resistono (statalismo, giustizialismo), vedo molti tabù che stanno cadendo. Vedremo.
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